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Contro la normalizzazione del mondo ultras

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di LIUCS

La lunga lotta e sperimentazione che la controparte ha avviato contro il mondo ultras sembra arrivare alle fasi conclusive. Lungo, lento e inesorabile, il processo di normalizzazione del tifo in Italia sta prendendo forma, agevolato da diversi fattori: su tutti quello della incapacità del mondo ultras di trovare punti di incontro che possano avviare processi di lotta importanti, mettendo da parte campanilismi e rivalità storiche, atti a impedire tutte quelle derive che il comune nemico ha messo in piedi e che hanno portato la galassia del tifo a come la conosciamo oggi: biglietti nominali, tornelli, videosorveglianza, tessera del tifoso, trasferte vietate, e se non autorizzati divieto di utilizzare materiali come tamburi, torce, megafoni e striscioni.

È evidente come la famosa “legge del beduino” non abbia funzionato: “Io contro mio fratello; io e mio fratello contro mio cugino; io e la mia famiglia contro la tribù; io e la mia tribù contro le altre tribù; io e tutti gli altri beduini contro chiunque altro”. Che tradotto: “io (gruppo ultras) e tutti gli altri beduini (gli altri gruppi ultras) contro il sistema che ci vuole far scomparire (la controparte ). Mancando questo passaggio fondamentale, come scrissi già in un recente articolo, assistiamo in maniera inesorabile a continue provocazioni che non sono altro che ulteriori passi verso la normalizzazione della cultura, dei comportamenti, dello stile di vita, delle pratiche, del modo di fare ed essere ultras.

Questa premessa nasce dopo aver visto gli ultimi accadimenti successi a Roma, Modena e Pisa. A Roma durante una partita di “beneficenza” (se così possiamo chiamarla) la questura ha messo in piedi un ingente dispiegamento di forze dell’ordine visto il ritorno, per l’occasione, in curva sud degli ultras romanisti in protesta da mesi contro le nuove disposizioni, dando un ulteriore segnale di chi detiene a suo favore i rapporti di forza, ribadendo quali sono metodi e prassi in uso nella gestione del tifo, e riuscendo – come era suo intento – a creare nuovamente scompigli e tensione conclusi con minacce di nuovi daspo.

È interessante poi osservare come oggi questo processo continui anche in contesti molto più piccoli come quello di Modena. Le cronache dei portali di informazione erano rimaste alla notizia di una serie di multe date agli ultras che quest’anno hanno deciso di tifare nel settore A della gradinata, vicino al settore ospiti: multe arrivate a ultras che oltre ad amare i propri colori, fuori dallo stadio sono impegnati nella politica antagonista e portano avanti lotte sociali, colpevoli di non essersi messi a sedere nei posti loro assegnati dai biglietti nominali. Bene: all’oggi, dopo una serie di proteste e mobilitazioni portate avanti nelle giornate seguenti all’accaduto, le multe sarebbero state sospese dalle autorità, anche se, nero su bianco. Non c’è ancora nulla di scritto. Fatto che lascia ancora molti punti di domande, visto che all’interno del settore le provocazioni più o meno evidenti – inscenate da soggetti ambigui di cui non si conosce esattamente la provenienza ma di cui si può immaginare il ruolo e funzione – non mancano, rischiando di far arrivare nuovi daspo all’interno di uno dei gruppi più daspati d’Italia.

Tutto ciò mentre si viene a conoscenza che a Pisa, in una sorta di continuità con quanto è successo a Modena, verranno emessi daspo verso diverse persone colpevoli di aver partecipato ad una manifestazione tanto popolare quanto politica (si veda qui e qui), colpevoli cioè di aver portato la propria rabbia e il proprio dissenso all’interno di un corteo contro la Lega. Anche in questo caso si colpisce chi, oltre alle lotte sociali fuori dallo stadio, continua la stessa battaglia all’interno di una curva.

Al di là degli episodi citati, bisogna soffermarsi sul fatto che queste prassi possono accadere e accadono semplicemente perché i rapporti di forza sono sbilanciati verso la controparte per i motivi citati all’inizio dell’articolo. “NOI” ultras possiamo continuare a cantare e scrivere “non ci avrete mai come volete voi”, ma se queste parole rimangono, appunto, parole, per di più isolate e fini a se stesse, possiamo allora già dire che in ogni stadio il finale di questa storia, della storia collettiva del mondo ultras, è già scritto.

La cosa bella di una storia viva, tuttavia, è che il finale non può essere già scritto fin dall’inizio da una sola parte, e che quindi può essere cambiato. Come? Questo non è possibile saperlo, ma alcune indicazioni si potrebbero dare e ipotizzare. Da una parte c’è la via dello sport popolare che sta prendendo sempre più piede nello scenario calcistico italiano (“Calcio popolare: un primo resoconto dell'assemblea nazionale”). Squadre e ultras come uno stesso soggetto, livelli differenti che si uniscono e si intrecciano per un calcio più pulito e un ritorno al tifo come lo conosciamo, con valori antirazzisti, antisessisti e antifascisti; dall’altra c’è la soluzione di rimanere legati alla squadra della propria città, ma consapevoli che per cominciare a dare delle risposte serie alla controparte è necessario mettere da parte rivalità e campanilismi e tentare di aprire un fronte comune di lotta all’interno di quei pochi spiragli che sono rimasti a disposizione.

In entrambi i casi è necessario che quella carica e potenzialità conflittuale che sta riemergendo durante le partite debba trovare “sfogo” non solo nella giornata di campionato in sé, ma trovare altre vie (storicamente quando ci sono condizioni sociali come quelle odierne, si aprono spiragli): ritornare cioè nelle strade e convergere quando opportuno è oggi necessario, contro un sistema nemico sempre più forte e determinato a debellare percorsi sottoculturali, autorganizzati, insubordinati e potenzialmente antagonistici come quello ultras.