Stampa

Senza madri

on .

di FRANCO BERARDI BIFO

Un commento di Bifo al volume Senza padri (Paolo Godani, DeriveApprodi 2014), in occasione della presentazione del libro, il 27 novembre a Bologna.

Mi scuso della mia assenza, sono in viaggio.
Spero di poter contribuire alla discussione con queste note, forse un po’ troppo rapide. Ma è di rapidità che siamo costretti a parlare.
“Correre lungo la dinamica del disastro”
sono parole che Robert Fripp pronunciò durante un’intervista rilasciata nel 1979 a Melody Maker. L’intervista parlava di musica e di storie personali, ma quella frase mi rimase impressa e oggi mi torna in mente perché mi pare descriva benissimo la condizione in cui ci troviamo.
Il disastro è in corso, non possiamo evitare che esso proceda come una linea di frattura del terreno, come una faglia. Ma possiamo correre lungo la linea tentando di evitare di finire nel crepaccio. Come reagiamo allo svilupparsi di questa dinamica catastrofica? Alcuni ritengono che occorra semplicemente accelerare la dinamica in corso perché alla fine questa rivelerà un nuovo mondo di possibilità. Altri ritengono che occorra invece restaurare l’ordine del territorio sul quale poggiamo i piedi.
I primi li chiameremo accelerazionisti, i secondi li chiameremo neopaternalisti.
Mi pare che il libro di Paolo Godani si collochi su questo crinale problematico.

L’accelerazione del flusso semiotico produce un’intensificazione della stimolazione nervosa e un ispessimento della crosta Infosferica: il presente, investito dagli stimoli nervosi che la mente riceve dall’infosfera diviene a tal punto denso da occupare ogni spazio dell’attenzione cosciente, cancellando, o riducendo decisamente lo spazio necessario per l’immaginazione del futuro e la memoria del passato. È questa compressione che produce un effetto di impotenza: il presente ci sovrasta come sovraccarico informativo e appiattisce la percezione della profondità temporale e l’elaborazione di strategie consapevoli.
Accelerazione del flusso immaginario e riduzione dello spazio per l’elaborazione simbolica sono due facce della stessa medaglia, e il pensiero contemporaneo affronta questi due aspetti in modo separato, formulando due ipotesi.
Gli accelerazionisti dicono: il capitalismo accelera a tal punto il ritmo della produzione, del lavoro, del consumo e dell’informazione che la sola cosa che rimane possibile è attendere la sua esplosione per eccesso di velocità, e la liberazione delle tendenze immanenti nell’intensificazione del ritmo produttivo e dell’immaginario.
I decelerazionisti neopaternalisti dicono: l’intensificazione dell’esperienza e del flusso immaginario prodotta dal capitalismo contemporaneo distrugge le condizioni stesse della legge e dell’elaborazione simbolica che sta a fondamento del desiderio, di conseguenza occorre restaurare la figura del padre, e la forza simbolica della legge.
I primi si estasiano davanti all’infinita potenza della tecnica, e attendono che essa generi, quasi per forza propria, il rovesciamento del modello che la governa, fino al punto che si realizzi la promessa implicita nello sviluppo delle tecnologie, e ne dispieghino le potenzialità immanenti.
I secondi constatano la fragilità di una generazione che cresce in condizioni di assenza del padre come forza simbolica che istituisce la legge e il limite: la circolazione dei flussi sociali e comunicativi si è fatta troppo veloce perché la legge possa governarli in maniera efficace, perciò rivendicano la ricostruzione di una legge paterna, e la restaurazione di un ordine psichico fondato sul rispetto della legge.
Gli uni e gli altri colgono aspetti importanti della condizione iper-moderna, ma né gli uni né gli altri, a mio parere, riescono a offrire una prospettiva realistica di ricomposizione soggettiva - né a livello politico né a livello terapeutico, e il libro di Paolo Godani mi pare concordare con questa posizione.

Se l’ipotesi accelerazionista, pur trascurando completamente la sostenibilità soggettiva dei processi dell’ipermodernità, ha almeno il pregio di riconoscere che nessuna nostalgia dell’ordine passato (sovranità, governo della legge…) è possibile né efficace, quella neo-paternalista, nella versione di Recalcati come in quella di Slavoj Zizek, si riduce a una mera petizione di principio, una sorta di auspicio benintenzionato, inutile però dal punto di vista politico, etico, immaginativo.

I movimenti degli anni ’60 e ’70 attaccarono con le loro lotte la dipendenza della vita dalla condizione  salariata, e in modo talvolta esplicito e consapevole rivendicarono la liberazione del tempo dal lavoro. Come sempre accade l’insubordinazione del lavoro provocò una risposta del capitale che assunse la forma della ristrutturazione tecnologica e della riaffermazione del dominio. A partire dagli anni ’80 la tecnologia elettronica e poi la rete digitale resero possibile la ristrutturazione, e l’aggressione neoliberista impose in forma nuove il dominio politico del capitale sul lavoro.
Ma c’è una continuità profonda tra le modalità e le tendenze che animano il movimento operaio contro il lavoro e le modalità e le tendenze che si manifestano nella controrivoluzione del capitale. Questa continuità si può cogliere analizzando la coppia concettuale autonomia-deregulation. Il movimento sociale antilavorista tendeva a liberarsi dalla legge perché la legge sanciva il dominio del capitale industriale e comprimeva le potenzialità di liberazione del tempo sociale dal lavoro. Il neoliberismo trae la sua energia da questa spinta sociale e la pone al servizio della volontà capitalistica di liberare la dinamica produttiva dai limiti che lo Stato le imponeva. L’offensiva neoliberista liberò la società dalla legge statale e la sottomise alla legge della forza di cui la tecnologia fu il principale strumento.
Lo stato nazionale, depositario della legge, fu depotenziato aggirato e infine esautorato dalla circolazione globale dell’informazione e della finanza. La fine della regolazione industriale e la fine della sovranità statale aprirono l’epoca della globalizzazione e del capitalismo finanziario, con tutte le implicazioni sociali ed economiche di cui abbiamo già parlato. Ma quel che mi interessa qui è la dimensione psichica legata alla deterritorializzazione globale.
L’accelerazione infosferica porta per così dire l’Inconscio alla superficie della relazione sociale contemporanea.  La psicoanalisi all’epoca di Freud si propose di portare la peste nella città ben ordinata della società borghese, cioè si propose di portare la visione dell’abisso inconscio a una comunità che pretendeva di rimuovere e di ripulire ogni aspetto inquietante della corporeità della sessualità e dell’immaginazione.  Ora dobbiamo partire da una premessa totalmente diversa, dall’esplosione della dimensione immaginaria, dalla liquefazione del legame sociale. La psicosi, la perversione non sono più contenuto nascosto, occultato, compresso, ma esplodono nella dimensione quotidiana come fattore di costante deterritorializzazione dell’attività immaginativa, del desiderio.
Questa nuova situazione pone un problema teorico difficile da risolvere con gli strumenti di cui disponeva la psicoanalisi freudiana. Ma allora si tratta forse di rivendicare un ritorno all’ordine morale, alla lenta governabile dimensione familiare gerarchica e territorializzata della borghesia protestante e della città industriale e laboriosa? Per Recalcati si tratta essenzialmente di restaurare l’autorità del padre, si tratta di fondare sul piano etico ciò che non si dà più nella formazione psichica: l’introiezione della legge.
Cercando di identificare le innovazioni che l’ipermodernità comporta a livello clinico, Recalcati scrive:
“Da una parte abbiamo una clinica che si occupa della liquefazione del legame con l’Altro a partire da una incandescenza della dimensione del godimento pulsionale che appare come non regolato dalla castrazione e privo della cornice inconscia del fantasma: dall’altra parte abbiamo una clinica che si occupa delle patologie dell’identificazione, delle identificazioni solide, compatte prive di flessibilità, rigide che tendono a offrire una padronanza illusoria al soggetto a prezzo della cancellazione della sua stessa singolarità desiderante.” (Recalcati: L’uomo senza inconscio, Cortina, Milano, 2010, pag. XV).

Quella che Recalcati definisce come liquefazione del legame con l’Altro potrebbe leggersi come la conseguenza essenziale della globalizzazione e dell’accelerazione: la precarietà è uno degli aspetti di questa duplice deterritorializzazione. 
La moltiplicazione delle linee di deterritorializzazione acentrica pone l’organismo desiderante in condizioni paniche, e accelera lo stimolo oltre il punto in cui é possibile la gioia orgasmica singolarizzante. Se nel discorso freudiano la nevrosi dominava come rimozione dell’istanza del desiderio e come accumulazione repressa di energia non investita, ma sublimata – oggi il Semiocapitale suscita e mobilita l’iper-espressività che produce effetti di tipo psicotico.
Perciò noi oggi assistiamo a un fenomeno nuovo, imprevisto dalla schizoanalisi e dall’autonomia desiderante negli anni ’70: le reti di comunicazione iperveloce mettono in moto circuiti di accelerazione del desiderio che sfociano nelle patologie del panico. Sopraffatto dall’intensità del flusso semiotico – stimolazione neuro-elettrica ininterrotta – la soggettività contemporanea, o meglio l’organismo cosciente e sensibile che soggettivizza nell’epoca presente, reagisce in maniera panica. La vibrazione del ritmo desiderante si è fatta troppo intensa per potersi ritrovare in un ritornello singolarizzante, in una sintonia del corpo e della mente.
Il desiderio giudica la storia, ma chi giudica il desiderio?
Da quando le corporation dell’imageneering (Walt Disney, Murdoch, Mediaset Microsoft, Google, ma anche Novartis, Glaxo, Pfizer) si sono impadronite del campo desiderante si sono scavate le trincee immateriali del tecno-schiavismo e del conformismo di massa. Il campo del desiderio è stato colonizzato da quelle agenzie economiche.

Molte cose che scrive Recalcati descrivono il nuovo quadro psicopatologico in maniera efficace, ma quando veniamo alle indicazioni terapeutiche, alla nostalgia della legge del padre, allora mi pare che Recalcati si metta su una strada teoricamente poco interessante e dal punto di vista terapeutico a mio parere inefficace.
Le patologie iper-espressive sono per lui riconducibili a questo venir meno della presenza strutturante del padre, di questo venir meno del filtro simbolico che la presenza del padre costituisce. È vero che l’accelerazione informativa e l’intensificazione dell’esperienza provocano una psicotizzazione dell’esistenza contemporanea, ma mi pare che non si possa ridurre il problema all’evanescenza della figura normante del padre. E meno che mai accetto l’idea che proprio il ritorno del padre possa essere considerato come l’unica rassicurante terapeutica strada da percorrere.
Il problema è a mio parere che la vera fonte della sofferenza contemporanea non sta nel venir meno del padre – il discorso rassicurante della legge, il riferimento da cui allontanarsi dopo averne assimilato la forza formatrice e strutturante. La fonte della sofferenza contemporanea sta soprattutto nel venire meno della madre.
Grazie all’emancipazione della donna, e alla sussunzione del lavoro femminile da parte del ciclo economico,  l’affettività è ridotta a lavoro salariato.
Milioni di donne lasciano ogni giorno il loro bambino per andare in ufficio o chissà dove a lavorare. E milioni di donne abbandonano a Nairobi e Manila i loro figli per andare nelle metropoli occidentali a occuparsi di bambini altrui (e di vecchi altrui naturalmente). È questo gigantesco spostamento di presenza affettiva e corporea della madre che produce l’abisso psichico più profondo, destrutturante nello psichismo globale contemporaneo.
Altro che il papà.
Attenzione, io non sto qui a lamentarmi e rimpiangere il bel tempo andato in cui la mamma si occupava dei bambini e buonanotte. Non sto richiamando le donne a fare il loro lavoro di mamme, non è questo il punto. Il punto è che dobbiamo cercare di capire quali sono gli effetti psicopatogeni e socio patogeni della messa al lavoro dell’affettività femminile, della sottomissione dell’affettività femminile da parte del ciclo globale dello sfruttamento. Dobbiamo capire gli effetti di una deterritorializzazione affettiva psichica linguistica che si depositano nella mente collettiva come la condizione di una bomba psichica a tempo.
Altro che il papà, la legge, l’ordine. La mamma, l’accesso affettivo e corporeo alla parola, la sensibilità la percezione dell’altro come tuo simile. Questo è in gioco nella condizione post-edipica contemporanea, qui si costituisce la condizione di un’apertura desiderante senza filtro affettivo. È l’affettività corporea – non il dominio simbolico – che rende possibile un accesso desiderante al linguaggio che non si manifesti come panico, che non sfugga da ogni parte lacerando l’esperienza di soggettivazione. È la mamma, o meglio il corpo linguistico, il corpo che introduce al linguaggio, ciò che manca, nel divenire panico del desiderio contemporaneo.

Massimo Recalcati, riproponendo le critiche di Lacan alla sregolatezza antiedipica, descrive la condizione contemporanea come una società senza padri in cui abita un uomo senza inconscio. Eliminato il filtro ideologico e normativo che il padre rappresentava nella vecchia società repressiva borghese nevrotica, ecco l’uomo senza inconscio esplodere in un flusso iper-espressivo, ecco forme di sofferenza psicotica prendere il posto della nevrosi. Questa descrizione non offre alcuna via d’uscita sul piano terapeutico e sul piano politico.
Non la legge del padre, a mio parere, ma la fratellanza è venuta meno nell’epoca post- borghese: la solidarietà, il piacere del rapporto con l’altro, questo è stato spazzato via. Ma la causa di questo venir meno della fratellanza non sta affatto nell’assenza di norma, nell’evanescenza del padre. La causa è che la corporeità dell’altro è venuta meno nel processo di formazione psichica. È il corpo della madre che ti insegna a essere fraterno, non la legge del padre. Con la parola “madre” intendo il corpo che parla, il corpo che introduce alla singolarità del linguaggio, non la madre biologica che accudisce il bambino nato dal suo ventre. Quel corpo, non importa il suo sesso, è il calore della voce ovvero il corpo che emette significazione.
La sottomissione del tempo femminile (la cura, l’accesso affettivo al linguaggio) è un fattore di devastazione molto più profondo che il venir meno del padre. Il distacco del bambino dal corpo della madre e la sostituzione della voce con la macchina linguistica nel processo di apprendimento linguistico rendono fragile e quindi precario il rapporto tra corpi e il rapporto tra corpo e linguaggio.
Assistiamo oggi a un fenomeno di riduzione funzionale del linguaggio, di rescissione del rapporto tra significazione e singolarità della voce. Sta qui il cuore della precarizzazione, perché il rapporto tra le parole e le cose non è più fondato sull’adesione affettiva, sulla condivisione corporea, ma è ridotto a funzione operativa. Perciò gli esseri umani non sono più capaci di essere fratelli.