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“Lavorare per nulla”: l’ultimo dei settori produttivi ad alta crescita

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di ANDREW ROSS

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Tutte le volte che partecipo a un dibattito sulle trasformazione del lavoro salariato sono consapevole delle differenze generazionale che attraversano la sala e oggi non è diverso. Cosa pensano di tale discussione i più giovani, quando a fronte di un livello di disoccupazione complessivo decrescente negli Stati Uniti N.d.t.] la disoccupazione giovanile cresce, e in Italia raggiunge livelli record con un tasso maggiore del 44% (quasi 60% al Sud)? Sicuramente, la difficile situazione della “generazione mille euro” non è un caso isolato delle economie del Sud Europa ma qui è resa più acuta dalla crisi del debito nell'Eurozona e in Italia dalla mancanza di leggi sul lavoro. Mentre le basi del lavoro salariato vengono continuamente erose, gran  parte del lavoro giornaliero ha cominciato a essere investito nell'economia alternativa della condivisione delle competenze, nella banche del tempo, nella produzione peer-to-peer, e in altre forme di aiuto reciproco. Questo, per la maggior parte potrebbe essere classificato come lavoro di sussistenza, cioè che dipende da un principio di condivisione per necessità. Tuttavia, gran parte del dibattito si concentra sullo sfruttamento commerciale della condivisione volontaria principalmente all'interno dell'economia del dono alla base del lavoro digitale. Benché molti giovani partecipano a entrambi i circuiti, è importante avere in mente questa distinzione, pur riconoscendo che non si escludono a vicenda.

Per quanto riguarda il mio contributo alla discussione di oggi, vorrei cogliere l'occasione offerta da questo dibattito per riflettere se la Grande Recessione abbia visto l'emergere di cambiamenti significativi nel mondo del lavoro precario o se ha visto semplicemente l'accelerazione di tendenze già esistenti. Stiamo assistendo a un aumento della precarizzazione intensificato dall'impatto contingente della recessione e dalle politiche di austerità che questa genera? O invece è la nascita di un nuovo modo, più duraturo, di concepire il lavoro, guidato dalla sempre più sistematica espropriazione di lavoro gratuito? La pongo in questi termini perché a partire dagli anni che hanno seguito il crollo finanziario del 2008 ho assistito al proliferare di lavoro non pagato o pagato con un salario simbolico. Cosicché si potrebbe cinicamente affermare che “lavorare per nulla” è l’ultimo settore produttivo ad alta crescita. Alcune di queste tendenze sono nuove e si stanno dando come parte dei processi in corso di trasferimento del lavoro verso piattaforme digitali; altre sembrano essere la radicalizzazione di modelli già esistenti (per esempio il furto sempre più intensivo di salario o l'espansione dell'uso del lavoro in carcere); altre ancora  implicano la conversione di lavori precedentemente retribuiti in lavori non retribuiti come i tirocini; ed alcune poggiano invece sull’assorbimento industriale della tendenza a “lavorare per mettersi in evidenza” come mentalità tipica soprattutto dei giovani che vogliono fare carriera.

Successivamente, nel corso del nel mio intervento mi soffermerò su questi aspetti, ma prima lasciatemi considerare se questo aumento del lavoro gratuito possa aiutarci a spiegare l'abisso che intercorre tra l’attuale crescita dei profitti aziendali e l'alto tasso di disoccupazione.

Non ho dubbi che ci siano più spiegazioni per leggere il divario tra gli alti profitti e l'inoccupazione.

Due di queste sono probabilmente l'incremento del controllo posto sui costi del lavoro tramite la delocalizzazione e l’accelerazione/intensificazione produttiva sostenuta dal ricatto dei licenziamenti. Possiamo includere fra queste ragioni anche la maggior rilevanza acquisita dai nuovi tipi di lavoro gratuito? Non è facile raccogliere prove inconfutabili di rilevanza statistica ma c’è una forte e documentata aneddotica che evidenzia quanto il lavoro gratuito sia abbastanza diffuso da essere sostanzialmente significativo.

Per quanto riguarda la “trasformazione della mentalità lavorativa” alla quale accennavo prima, la domanda da porsi è se il passaggio sistemico al “lavoro temporaneo” che ha caratterizzato gli ultimi tre decenni del lavoro precario, sta avendo successo grazie ad un rapporto contrattuale più leggero.

Molti dei nuovi rapporti di lavoro che menzionerò lasciano solo una piccola traccia dell’occupazione per come l’abbiamo conosciuta e, certamente, non hanno nulla a che fare con il datore di lavoro dentro una qualche  rete di obblighi legali o regolamentati. 

Anche la definizione “lavoretto” a proposito delle attività dei musicisti non è più un’etichetta adeguata.

Da una parte le forme dell’espropriazione sono forse più sistemiche che non intermittenti, spostando l’idea di “incarico lavorativo” [job] molto più vicino al suo significato etimologico come

 “parte” o “pezzo” di un lavoro che esiste solo fino alla durata del suo adempimento. Dall'altra, nella misura in cui chi lavora senza retribuzione è guidata all'auto promozione di banalità, i compensi previsti per questi lavori sono più simili a quelli dell'era pre-industriale, quando le cure amorevoli per raggiungere l’attenzione di nomi ricchi e potenti erano fonte di considerevole valore e mobilità sociale.

Lasciatemi brevemente sintetizzare sei rilevanti aree d’inchiesta:

1) Nel regno del lavoro digitale, un'enorme quantità di lavoro è continuamente espropriata da fonti quali: l’istituzione come norma industriale di contenuti gratuiti online (che, come è prevedibile, provoca la diminuzione del compenso dei professionisti del settore); l’estensiva estrazione di dati dalle piattaforme di social media come Facebook, Google, e Twitter, spesso senza che gli utenti ne abbiano consapevolezza; programmi e-lance come il Mechanical Turk, eLance, Task Rabbit e oDesk che assegnano micro-compiti per i quali non sono necessari che pochi minuti; il “crowdsourcing” come principio industriale soprattutto per quanto riguarda il lavoro creativo o lavori a interesse diffuso; e una miriade di altre sofisticate tecniche digitali che includono l'uso di algoritmi personalizzati per estrarre valore dagli utenti. Tutte queste sono forme di “lavoro distribuito” che attingono all'uso di Internet per mobilitare la possibilità di predisporre l’intercambiabilità di una massa di individui singoli tra loro dispersi. Questo non va però confuso con il più vecchio uso del termine “lavoro distribuito” che ha descritto il business del modello BPO che coordinava tra loro luoghi di lavoro disseminati geograficamente, utilizzato sia a proposito del telelavoro che per nodi tra loro distanti all'interno di una rete di produzione globale. Anche per questo il nuovo modello deve essere distinto dall'idea ormai diffusa del posto di lavoro distribuito oggi conosciuto come “ufficio mobile” per cui i datori di lavoro consentono ai loro dipendenti di lavorare sempre e ovunque, a casa loro come a Starbucks o mentre sono in viaggio.

Il nuovo tipo di lavoro distribuito non ha bisogno di essere eseguito da dipendenti registrati sui libri di paga di alcune succursali o da chi usa i computer nei caffè, che sono diventati il posto di lavoro predefinito per una generazione di liberi professionisti che lascia la privacy della casa per lavorare di fronte a tutti sfidando o alimentando il ronzio gregario della società. Al contrario, questo nuovo tipo di lavoro o è eseguito da utenti che non lo percepiscono affatto come lavoro, o è appaltato online, nonostante i sempre più numerosi siti di servizio e-lance, a una miriade di utenti che mettono insieme pezzi di redito da fonti diverse. Come nel modello del “outsourcing offshore”, la diffusione di questo tipo di lavoro è altamente organizzata ma non dipende dalla ricollocazione fisica di forza lavoro a basso costo. Il risparmio sui costi può invece derivare sia dal talento latente della folla, che dalla micro-divisione del lavoro in rompicapo, turni, incombenze e momenti specifici che, anche se costituiscono qualcosa di più che semplici distrazioni, richiedono solo saltuari scatti di concentrazione.

L'ideazione e parcellizzazione di queste micro-attività è, probabilmente, solo l'ultimo sviluppo di un’organizzazione del lavoro di derivazione taylorista. Quelli che le eseguono sono efficacemente dequalificati, dispersi e privati di qualsiasi conoscenza riguardo la natura del prodotto che il loro lavoro sta contribuendo a creare. Il manager che coordina, invece, ha il controllo dell’intero processo di lavorazione. Per quanto riguarda il lavoro svolto dalla folla, che ha un lungo lignaggio storico legato alla tradizione del lavoro creativo, dove il compenso monetario viene solitamente sacrificato in cambio di una gratificazione e dell'opportunità di verificare e promuovere il talento di qualcuno. Questa inclinazione a donare lavoro ha iniziato a essere definita come auto-sfruttamento quando è emersa come prototipo industriale nell'occupazione formale offerta dalla New economy o dalle imprese dot.com della fine degli anni ’90. Per molti ricercatori del settore ciò sembra ancora riassumere l’idea di lavoro per passione o per sacrificio che caratterizza l'economia no-collar.

Uno dei modi di contestualizzare l'espansione  “dell'industria creativa” nell'ultimo decennio è quello di interpretare il termine quasi letteralmente ossia come tentativo di industrializzare la creatività.

Adattare il tempo del lavoro creativo a un modello industriale è una sfida manageriale acuta, tuttavia, in un modello economico a IP jackpot i costi della competitività sono considerevoli. La svolta del crowdsourcing offre una soluzione più impersonale che ripartisce i costi e scagiona il datore di lavoro da ogni tipo di obbligo rispetto ai lavoratori. La folla non è solo più intelligente di dipendenti addestrati, non ha bisogno che le si garantisca assistenza sanitaria o contributi previdenziali per poter usufruire della sua sapienza, né richiede il relazionarsi con la personalità ribelle dei creativi per determinarne il compenso.

Sempre meno riconosciuti come dipendenti non standard, gli utenti dei social media sono tuttavia fonte di reddito e profitti considerevole per le imprese di divulgazione delle informazione. Basta  guardare al rapporto tra guadagni e libro paga di aziende leader come Google e Facebook per vedere quanto sia influente questo modello nel capitalismo del ventunesimo secolo, ogni ditta ha miliardi di dollari di profitto pur mantenendo una manodopera retribuita molto bassa.

Questo rapporto tra numero di dipendenti e retribuzione è insolito per qualsiasi standard storico ma tipico per le aziende che dominano la stratosfera dei servizi di informazione.

I loro guadagni astronomici non dipendono dal plusvalore creato dai lavoratori stipendiati ma da quello non retribuito degli utenti che non sono più consumatori secondo un modello tradizionale.

Il tornaconto degli utenti è logicamente il libero accesso alle piattaforme e ai software ma, dal punto di vista dell'azienda, i costi dell'accesso e della manutenzione sono minimizzati dal valore negoziabile dell'informazione che può essere estratto quotidianamente dalla varietà di utenti che attraversa il sito.

2) I tirocini sono diventati praticamente obbligatori in ogni tipo di settore white-collar o no-collar.

I miei studenti sono più abituati all'onnipresente frase “opportunità di tirocinio” che non a quella “opportunità di lavoro”. I tirocini non costituiscono più la fase di passaggio al settore dei servizi professionali ma, per la maggior parte delle persone, stanno diventando un limbo terminale. In maniera non diversa, il tempo speso dagli studenti di dottorato a insegnare non è più un periodo di apprendistato ma in pratica il punto di arrivo della loro carriera da insegnanti. Negli ultimi anni i tirocini gratuiti sono diventati la norma, soprattutto per le donne (i posti di lavoro retribuiti sono dati agli uomini in maniera disproporzionale) e, secondo quanto emerso da una stima di un paio di anni fa, complessivamente forniscono ai datori di lavoro vantaggi economici pari a due miliardi,e questo solo se si guarda all'America. In Italia i programmi di tirocinio sono finanziati dal governo. Mentre cresce il mercato dei tirocini, questi posti di lavoro non retribuito sono apertamente messi in vendita e le collocazioni più ricercate, che generano grandi profitti, amplificheranno sicuramente in un prossimo futuro tali vantaggi economici. La gran parte di questo lavoro non retribuito non è preso in considerazione né registrato in nessuna delle stime ufficiali che riguardano l'attività lavorativa. Come altre categorie che ho qui citato, i tirocini hanno un forte impatto sull'ammontare del debito accumulato dalle famiglie. La maggior parte dei tirocini sono intrapresi per ottenere crediti universitari. Per questo, almeno in America, sono direttamente finanziati dal debito. Altri tirocini non sono obbligatori ma fanno parte della richiesta di crediti per i college. Inevitabilmente alcuni di questi possono essere sostenuti solo indebitandosi di più. E sta diventando sempre più comune la richiesta di prestiti per poter fare tirocini non retribuiti.

3) Il furto di salario è diventato una fonte enorme di lavoro gratuito per datori di lavoro che quotidianamente violano le regole del salario e del tempo lavoro negando spesso gli straordinari. Nel 2008, all'inizio della recessione, è stato stimato che, in media, i lavoratori low-wage stavano perdendo il quindici per cento del reddito annuale tramite una forma o un'altra di furto; negli anni a venire e soprattutto in settori industriali che si basano sul lavoro migrante questa pratica illegale si p cronicizzata. La spinta al ribasso del costo del lavoro e la crescente sorveglianza sui immigrati ha spinto i datori di lavoro a negare la retribuzione ai membri più vulnerabili della loro forza lavoro.Una recentissima ricerca dell'Economic Policy Institute ha stimato che circa 50 miliardi di dollari vengono rubati ogni anno a 30 milioni di persone che fanno parte della forza-lavoro low-wage del paese.

4) La pressione dei costi di importazione e la caduta della domanda da parte dei consumatori ha portato i datori di lavoro americani a cercare forza-lavoro a basso costo sempre più all'interno delle prigioni. -L'uso di detenuti per manifattura e servizi è andato ampliandosi dopo che molti Stati hanno deciso di esternalizzare i servizi penitenziari ai privati. Come risultato del Prison Industries Act, diventato legge sotto la spinta dell'ala destra dell'American Legislative Exchange, un milione di detenuti sono oggi impiegati con salari al di sotto dei minimi di legge, mentre il loro lavoro è controllato da una disciplina di condotta che non potrebbe essere imposta al di fuori dei penitenziari. Il lavoro in carcere, flagello penale del diciannovesimo secolo nel Sud, è tornato alla ribalta. Come ultima, ma non meno rilevante, questione ci sono gli sforzi che gran parte degli Stati americani stanno facendo per attirare le aziende immobiliari ad acquistare in posti lontani e meno costosi con la promessa di detenuti a basso costo che si spaccheranno la schiena per loro. I lavoratori nel settore della produzione per l'esportazione del sud della Cina sono ora in competizione con un lavoro a costo ancor più basso, quello dei detenuti dietro le sbarre per reati di droga.

5) ”L'economia della condivisione” è emersa come l'ultima grande novità. Trae la sua ispirazione da una miriade di fonti: il mutuo soccorso e la produzione cooperativa; l'ecologico ”dalla culla alla tomba” per ridurre i rifiuti; il consumo collaborativo come stile di vita; l'esercizio del non-diritto di proprietà ecc... Queste strade sono tutte parecchio progressiste e il no-profit relativo a questo tipo   di economia ha prodotto molti nobili esempi di produzione del comune: le banche del tempo, la ricerca e lo scambio di conoscenze su base orizzontale e molte altre espressioni di economia alternativa. Tuttavia, lo sfruttamento commerciale di queste tendenze ha aperto nuovi mercati predatori nei confronti della condivisione di beni e lavoro. Compagnie come Airbnb, Uber, Lyft e TaskRabbit estraggono grandi profitti dalla monetizzazione del tempo che risparmiamo nelle camere da letto o con le nostre macchine, anche se non hanno minimamente contribuito all'acquisto o alla disponibilità di queste risorse. E anche se queste tendenza sono promosse come fonte di guadagno supplementare, stanno diventando una risorsa sempre più primaria e stanno cambiando il modo in cui le persone sbarcano il lunario. Le compagnie in questione assumono un piccolo staff e traggono profitto dal lavoro non pagato di tutta una serie di micro-imprenditori, “membri della comunità”, evitando i costi per benefit, cassa integrazione o retribuzione dei lavoratori. Tutti i rischi sono a carico dei membri della comunità, mentre la competitività fa calare i prezzi e rende irregolari le condizioni del guadagno. Il crescere di quest'economia alternativa distrugge gli standard (e la sindacalizzazione) dell’occupazione negli hotel, tra i tassisti e in altri servizi.

6) Vale la pena includere in questo discorso anche il debito familiare. Per molte persone, i debiti, sono il salario del futuro a cui i creditori tentano di arrivare in anticipo. Mentre la finanziarizzazione penetra molti settori della nostra vita, incluso l'accesso ai beni di prima necessità, la classe dei creditori si sta appropriando di una quota anche più grande del lavoro in eccesso .

In America questo è evidente nel caso del debito formativo che si sta rapidamente avvicinando ai 1.3 trilioni. Accumulare debito è la condizione degli studenti per entrare nella forza lavoro. I loro stipendi, ammesso che riescano ad accedervi, sono sempre più usati per ripagare i prestiti che sono serviti a prepararsi per entrare nel mondo del lavoro. Per questa ragione alcuni analisti hanno paragonato il debito degli studenti a una forma moderna di contratto di apprendistato. L'indebitamento, in altre parole, è una componente necessaria del loro lavoro e può non bastare una sola vita per ripagarlo. Alternativamente, e io  tendo a favorire questa prospettiva, il debito studentesco può essere visto come una forma anticipata di furto dello stipendio.

7) Ultimo punto ma non meno importante. La partecipazione volontaria ai concorsi ha trasformato molti settori dell’industria dell’intrattenimento in spettacoli amatoriali, con jackpot per pochi vincitori e batoste per tutti gli altri. Il modello televisivo del talent show/reality è oggi diventato uno standard industriale che abbassa il livello delle normali retribuzioni di tutti i lavori. Data la potente influenza dei presentatori televisivi sui giovani, il principio cruciale del “lavorare per mettersi in evidenza” sta diventando la norma nella mentalità dei giovani, con conseguenze economiche incerte. I giovani hanno accettato che il mondo va così e che possono farcela solo offrendo lavoro autoprodotto con stile, in anticipo sulle tendenze e gratuitamente, nella speranza di essere notati e trarne vantaggi. Per la generazione attuale gli stipendi del periodo industriale sono stati sostituiti dalla moneta dell'attenzione e del prestigio.

Questa nuova norma rappresenta forse  uno spostamento significativo verso il più tradizionale “casting” come modello di ingresso per la forza lavoro nell’industria dell’intrattenimento?

Se è così, può essere perché lavorare per mettersi in mostra è ora considerato come parte necessaria per ottenere quel riconoscimento utile ad avere una retribuzione. Proprio come il debito studentesco è assunto come copertura contro la disoccupazione del futuro, il lavoro donato per la costruzione di abilità personali è un prelievo che i datori di lavoro estraggono in anticipo, un dono di tempo e risorse che i datori di lavoro avrebbero dovuto garantire come formazione professionale o perfezionamento delle personalità lavorative.

Avrete notato, per concludere, che alcune delle categorie che ho citato non rientrano nel campo del lavoro digitale. Non considerare circoscritto all'economia virtuale l’incremento del lavoro non retribuito ci aiuta ad evitare la falsa credenza del determinismo economico. Intendo, con questo termine, la convinzione che le IT o Internet stesso siano arrivati e abbiamo creato una grossa voragine nell'universo dell'occupazione standard, rovesciandone tutto il contenuto ovunque.

Le tecnologie online hanno certamente attivato e facilitato molte delle tendenze che abbiamo descritto e analizzato oggi ma non ne sono intrinsecamente responsabili.

Per chiudere, permettetemi di notare che la cosa rilevante a proposito della suddetta indagine del “lavorare per niente” è che non si limita a settori tradizionalmente a bassa-retribuzione. Alcune delle più rapide tendenze di sviluppo del lavoro non retribuito sono infatti  reperibili in settori di alte ricompense per il duro lavoro, soprattutto nelle industrie creative nelle quali lo sforzo amatoriale per vincere all'interno della nicchia dell'economia dell'attenzione può sfociare in un “una hit campione di incassi”. In questi settori, sembrano essere molto pochi i criteri per giudicare quale sia il lavoro valido. Ogni tentativo di disegnare una qualche equazione tra lavoro e retribuzione è sempre più difficile. Né chi non passa il “concorso” ha mai considerato di impegnarsi per contrastare questa forma di sfruttamento. Tuttavia, indipendentemente dalle fasce di reddito, lo schema generale è sempre asimmetrico tra datori di lavoro-proprietari da una parte lavoratori/partecipanti dall’altra. Il risultato finale è una distribuzione del reddito che è ancora più distorta rispetto a quella mostrata da un mercato del lavoro industriale dove predominava il lavoro occasionale o contingente.

Va anche osservato che una varietà di iniziative semi-organizzate sono nate per contrastare l'erosione di standard equi di lavoro in alcune delle aree che ho citato. Alcuni dei rimedi sono finalizzati a portare il lavoro non retribuito in linea con le attuali leggi e normative sul lavoro, altri in modo pionieristico a stabilire nuovi standard. Pochi di questi rientrano nell'orbita tradizionale del movimento sindacale, anche se alcuni potrebbero produrre nuove forme di tutela dei lavoratori e organizzazioni sul modello dei worker-center o dar vita ad alternative pionieristiche come per esempio l'organizzazione dei liberi professionisti, dei lavoratori dei fast-food, dei fotomodelli, degli studenti debitori, di stagisti e supplenti.

La precarizzazione ha interessato gran parte di due decenni, a partire dai lavori maggiormente routinari e a basso redito fino ai servizi e alle professioni ad alta retribuzione. La riorganizzazione del lavoro che ho descritto sembra darsi a tutti i livelli e più o meno allo stesso tempo, nella produzione manifatturiera e nei servizi, così come rispetto alla fine delle possibilità di occupazione per gli studenti universitari che si sono indebitati. Ciò può sicuramente essere in parte spiegato con la gravità della recessione. Ma la recessione è durata così tanto che alcune di queste conseguenze potrebbero rivelarsi permanenti, piuttosto che essere solo il risultato temporaneo di una debolezza dell'attività economica. Nel periodo successivo al 2008, analisti della stampa economica hanno consigliato alle imprese di usufruire di nuove fonti di lavoro gratuito per riuscire a rimanere a galla e migliorare le loro posizioni sul mercato. Sei anni dopo sembra che  questa tattica stia diventando una strategia di business a lungo termine. La fabbrica sociale non è più una tesi d'avanguardia proposta dalla prima generazione di operaisti nella metà degli anni ‘70, oggi la vediamo inscritta sull’intero panorama del lavoro moderno.

* Paper presentato in occasione del convegno “Free and Unpaid Work, Gratuity, Collaborativity and  Precariousness”, Bologna, 24 ottobre 2014.

Traduzione dall’inglese di Francesca Ioannilli.