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La nuova mappa elettorale nel Regno di Spagna (o la lenta caduta del Regime del ’78)

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di CARLOS HERAS RODRIGUEZ

Dopo le elezioni del 24 maggio, Ada Colau e Manuela Carmena – candidate delle coalizioni municipaliste Barcelona en comú e Ahora Madrid – saranno con molta probabilità sindache di Barcellona e Madrid, mentre Podemos si è affermato in tutti i parlamenti regionali per i quali si è votato. Nello stesso tempo, il Partito Popolare ha perso la maggior parte del suo potere territoriale.

Prima di commentare i risultati elettorali e l’importanza di questo voto nell’attuale ciclo politico, ci sembra opportuno fare un passo indietro e tornare a quattro anni fa per capire cosa è cambiato.

Antecedenti

2011. Diversi collettivi sganciati da organizzazioni politiche consolidate convocano un corteo per il 15 di maggio a Madrid, una settimana prima delle elezioni comunali e nella maggior parte dei parlamenti regionali. La data diventa rapidamente virale nelle reti sociali, anche la stampa internazionale vi presta attenzione ma i principali mezzi di comunicazione spagnoli ignorano la convocazione. Il 15 di maggio, alcune decine di persone iniziano la prima acampada alla Puerta del Sol. La polizia reagisce con eccessiva violenza e nei giorni successivi si produce una spirale virtuosa tra repressione poliziesca e solidarietà di massa. Ha così inizio la storia che conosciamo come 15M o “movimento degli indignati”.

Due parole d’ordine definiscono il discorso delle prime settimane del nuovo movimento emergente: “La vostra crisi non la paghiamo” e “Non ci rappresentano”. Un rifiuto cioè dell’austerity e una critica alla democrazia rappresentativa il cui nesso viene sintetizzato come “Democrazia reale ora” e “Non c'è democrazia se governano i mercati”. Detto altrimenti, si sta chiedendo la fine delle politiche economiche neoliberiste che sono ricondotte a un regime di governance “non veramente democratico”. La domanda principale è una democrazia intesa come qualcosa di molto di più pregnante che votare ogni quattro anni. Una domanda che rimanda alla difesa dei servizi pubblici, alla critica di corruzione e bipartitismo come sistema di governo e che, rifiutando che siano classe media e ceti popolari a dover pagare la crisi, muove una critica profonda al sistema capitalistico. Nello stesso tempo, soprattutto nel corso della prima settimana, si dà una pratica di disobbedienza di massa delle regole relative alla campagna elettorale che vietano cortei e concentramenti.

È importante ricordare questo proprio oggi mentre la maggior parte dei settori sociali e di movimento, che si politicizzarono in quel periodo, sono immersi nel ciclo elettorale e investono lì energie che prima erano spese nel sociale: la questione elettorale è, sin dall'inizio, nell’agenda del 15M.

22 maggio (2011). Ci sono le elezioni. I sondaggi dicono che più dell’80% della popolazione simpatizza con il 15M. Il PSOE, il partito socialdemocratico che nel corso dell’anno precedente aveva applicato il programma di austerity, perde a favore del Partito Popolare (PP) in tutte le regioni in cui si vota (14 su 17), tranne in Andalusia e nelle maggior parte delle grandi città. Il PP a novembre del 2011 prenderà anche il governo centrale raggiungendo in parlamento la maggioranza assoluta. La sinistra e altri partiti emergenti non conseguono buoni risultati. Le piazze e le istituzioni di rappresentanza seguono strade totalmente diverse, ma le seconde incidono materialmente più delle prime sulla vita delle persone.

Poco prima dell’arrivo dei popolari al governo del paese, nell’agosto del 2011, la maggioranza parlamentare composta da PSOE e PP varano a porte chiuse la riforma dell’articolo 135 della Costituzione, per garantire la priorità, anche sulle emergenze sociali, del pagamento del debito pubblico e per il controllo del deficit. Segue un fortissimo programma di tagli in tutti i servizi pubblici, nel campo dei diritti sul lavoro (Riforma del lavoro del l 2012) e dei diritti civili, caratterizzato da un fortissimo interventismo legislativo. Cioè, i tagli non si applicano come misure congiunturali, ma si costruisce un’architettura giuridica che li rende permanenti. Nei quattro anni che seguono, la disoccupazione supera più volte il 25%, percentuale che si duplica nel caso dei minori di 25 anni. E parallelamente, sopratutto nei primi due anni di governo della destra, si consolida un movimento di resistenza fatto di: movimento per la casa (si veda la nostra intervista ad Ada Colau), difesa di sanità ed educazione pubblica, due scioperi generali in un anno (marzo e novembre di 2012), ecc.

Podemos e le esperienza municipaliste si possono leggere come una risposta all’esaurirsi di questo ciclo di lotte sociali e alla mancanza di risultati macro, anche se non sono mancate le vittorie parziali. Detto altrimenti, l’esaurimento di questo ciclo viene prima dalla scommessa elettorale di Podemos.

24 maggio, 2015. Nelle elezioni municipali, il Partito Popolare ha perso il 13% del sostegno elettorale, il PSOE il 2%. Insieme raggiungono soltanto il 51% dei voti totale. Nel computo complessivo dei voti non sembra una caduta brutale, ma il PP perde la maggioranza assoluta in città come Madrid o Valencia, dove governava da più di vent’anni. In alcune delle città più grandi si sono affermate le candidature municipaliste. Oltre Madrid e Barcellona, anche altri capoluoghi di provincia come Saragozza, Cadice, Oviedo, Santiago de Compostela e La Coruña. A Valencia, invece, potrà governare Compromís, un “nuovo” partito pre-Podemos che ha scavalcato il PSOE come forza di opposizione al PP. In tutte queste città i “nuovi” partiti hanno “sorpassato” il PSOE che ha storicamente rappresentato la forza di opposizione più rilevante al PP.

Queste forze politiche (tranne Compromís) sono state appoggiate da Podemos e da altre forze di sinistra in opposizione al PSOE, ma nella maggior parte dei casi la differenza l’hanno fatta quei gruppi di attivisti estranei ai partiti – o perlomeno alle direzioni dei partiti – che hanno formato, a partire dallo scorso anno, il nucleo del progetto politico. Di questo parlavamo alcuni mesi fa a proposito della “scommessa municipalista”.

Nelle 13 regioni in cui si è votato per presidenza e parlamento (elezioni autonomiste), il PP ha perso la maggioranza assoluta che aveva nel 2011 in 7 regioni e solo in alcune di queste potrà governare da solo. Ci sono poi altri due governi regionali che molto probabilmente il PP perderà, uno dei quali, altamente simbolico è Valencia, emblema al contempo del potere assoluto e della corruzione PP. In ogni caso in nessuna delle regioni interessate dal voto Podemos ha avuto un’affermazione significativa. Ciudadanos, il partito liberale che si era gonfiato su tutti i sondaggi elettorali negli ultimi mesi, come una sorta di “Podemos di destra”, dovrà abbassare le sue aspettative di essere “la chiave” di un bel numero di governi. Infatti, il suo ruolo più rilevante sarà quello di decidere se appoggiare il PP nella Comunità di Madrid o fare un eventuale patto per sgomberarlo anche da lì e favorire un governo del PSOE.

Questo scenario non è facile per nessuno. Sostanzialmente, il PP perde gran parte del potere territoriale che aveva, anche perché se governa sarà senza maggioranze chiare come prima (in Andalusia, dove ci sono state le elezioni a marzo, non c’è governo da un mese perché Podemos e Ciudadanos non accettano di votare l’investimento della candidata del PSOE; probabilmente si dovranno ripetere le elezioni), e le condizioni di investimento saranno dure per il forte rifiuto della corruzione istituzionalizzata e di una gestione della crisi economica così aggressiva con le classi popolari.

Il PSOE ha l’opportunità di recuperare parte del potere territoriale perso nel 2011, ma avrà bisogno dell’appoggio di Podemos e altre forze “rotturiste” (fino a un certo punto), i suoi principali avversari nelle elezioni statali tra sei mesi. In cambio, ci sono città come Madrid dove il PSOE dovrà scegliere tra il consentire un governo del PP oppure uno delle candidature municipaliste che l’hanno eliminato come alternativa reale al PP. Insomma, sembra che ci saranno dei patti per sgomberare il PP dalle diverse istituzioni, e tutto dipenderà dalle condizioni. Pare che la strategia di Podemos sia quella di favorire l’espulsione del PP senza far parte dei governi, e vendere il voto per l’investimento presidenziale il più caro possibile in ogni caso. L’alternativa è una situazione di incertezza e di difficile governabilità generalizzate, che non favorisce i calcoli elettorali di nessuno degli attori. La corsa per le elezioni al governo centrale – che saranno tra novembre e gennaio – rimane aperta, ed è una corsa a due o tre.

Le due velocità del cambiamento

Il cambiamento politico ha due velocità: particolarmente nelle città più grandi, ci sono movimenti molto rilevanti perché la destra perde potere e le nuove forze politiche “progressiste” spostano il PSOE come alternativa, rendendola prima o seconda forza politica. Invece, nelle città di meno di 100.000 abitanti la mappa cambia. Questo per due ragioni. La prima è che Podemos non ha una struttura territoriale forte né si è presentato alle elezioni municipali, se non sotto formule di “unità popolare”. È stata una decisione della sua assemblea fondativa nel settembre del 2014, e le motivazioni erano di tenere il prestigio del partito, evitando che opportunisti locali lo utilizzassero per acquisire potere municipale senza condividere il proietto politico; sopratutto, la scelta era di favorire iniziative più allargate come Ahora Madrid e Barcelona en Comú. La prima conclusione sul piano municipale è che il cambiamento elettorale funziona a due velocità: in città più piccole le cose non cambiano troppo. Podemos non si è candidato col suo nome, sia per favorire processi più allargati che per non erodere il suo prestigio. Invece nelle grandi città si sono aperti processi di confluenza sociale che potranno governare, in qualche caso con l’appoggio del PSOE, che dovrà scegliere tra consentire governi della destra oppure appoggiare i suoi avversari più diretti. Quindi, laddove non c’è stata una massa critica di attivismo e militanza e figure riconosciute come Ada Colau o Manuela Carmena, i candidati, quando c’erano, erano poco conosciuti e tanti “volevano votare Podemos ma non sapevano chi erano”.

La seconda ragione è che la corruzione – e qui la critica pubblica di Podemos è molto precisa – non è costituita da casi particolari di gente concreta che si è corrotta, ma è un sistema di governo che si esprime particolarmente sul piano del potere locale, base della creazione della bolla immobiliare precedente alla crisi. Lo scambio di favori e le reti clientelari non sono una finzione, ma una macchina che funziona bene e ha i suoi effetti materiali. Anche questo fa sì che a livello locale il voto sia più conservatore. Il risultato discreto nelle elezioni autonomiste si deve in parte alla mancanza di organizzazione territoriale e di candidati conosciuti. Comunque, Podemos fa una lettura molto positiva dei risultati di domenica perché Madrid e Barcellona rappresentano la possibilità di mostrare capacità reale di gestire l’istituzione, e le grandi città hanno avuto tradizionalmente un effetto anticipatore della politica spagnola.

Le candidature municipaliste hanno alcuni tratti comuni che marcano la differenza con Podemos e sono chiave del suo successo. In primo luogo, non sono soltanto la somma di partiti preesistenti. In secondo luogo, hanno dei candidati e candidate indipendenti dai partiti e socialmente riconosciuti. In terzo luogo, sono riuscite a fare una campagna meno controllata e produrre partecipazione e illusione; nei tempi accelerati che qui viviamo Podemos è già percepito da alcuni come qualcosa di vecchio e troppo grande per essere buono. In quarto luogo, si possono riassumere i suoi programmi in quattro tratti generali: un piano contro l’emergenza sociale (quindi fermare gli sfratti, i tagli energetici a chi non può pagare le bollette, ecc.), un compromesso contro la corruzione in cui è centrale l’idea di verificare tutti i conti pubblici precedenti, la democratizzazione dell’istituzione attraverso la partecipazione cittadina, la rimunicippalizazione dei servizi pubblici in corso di privatizzazione. Insomma, un programma minimo contro l’austerity, il debito e per la democrazia, che diventa di rottura quando avere una casa, servizi sociali, qualcosa da mangiare e governanti che non ci rubino diventa quasi rivoluzionario (nel senso che implica dei nuovi equilibri di potere radicalmente diversi).

La corsa alle elezioni generali

Il 24 maggio è stata la terzultima tappa di un ciclo elettorale. A settembre si prevedono le elezioni catalane e tra novembre e gennaio quelle parlamentari.

Il PP ha perso un potere territoriale quasi assoluto, il più forte che ha avuto un partito spagnolo da che è iniziato il periodo democratico dopo quarant’anni di dittatura. Quando la corruzione e le reti clientelari fanno sistema di governo, avere meno torta da condividere vuol dire avere tanti coltelli dietro pronti a colpire. È prevedibile u’accelerazione nell’erosione di questo blocco di potere che è la destra in Spagna.

Il centro-sinistra del PSOE perde voti (soprattutto se compariamo i risultati attuali con quelli di otto anni fa) ma si rinforza rispetto al PP, oltre a non perdere troppo nei confronti di Podemos (come ci si poteva aspettare sei mesi fa). Comunque è davanti a una scelta difficile: gestire le istituzioni con politiche molto segnate da un nuovo clima sociale che ha prodotto l’irruzione di Podemos un anno fa e, nella maggior parte dei casi, senza stabilità parlamentare, oppure prendere la via del PASOK greco e fare un patto di stato col PP per contenere le “forze del cambiamento”. Sembra, per ora, che vogliano imboccare la prima strada. La socialdemocrazia, insomma, dovrà scegliere tra cooperare col suo avversario storico, oppure col nuovo che fa appello – ma non solo – alla sua base sociale e a molte delle idee che dovrebbe rappresentare.

Ciudadanos, il “nuovo” partito liberale che si era gonfiato nei sondaggi conquista risultati degni, ma non entra neppure in tutti i parlamenti regionali. È, quindi, lontano dall’essere un’alternativa di governo rispetto agli altri tre partiti regionali. Se non c’è una domanda maggioritaria di cambiamento sociale radicale, sembra che un discorso forte contro la corruzione non sia sufficiente per emergere come alternativa allo stato di cose attuale se non è accompagnato da pratiche di democratiche e proposte economiche sostanzialmente diverse.
Dall’altra parte, Podemos emerge come alternativa unica ai vecchi partiti, anche se i risultati su molti territori sono solo discreti. Il modo in cui gestirà il potere istituzionale che prende e le politiche di patti che farà nelle prossime settimane definiranno quanto possa essere un’alternativa reale in due sensi: quello della capacità di gestione e lavoro costruttivo che prefiguri un ruolo di governo utile e quello di poter svolgere un ruolo di opposizione reale alle forme di governo veramente esistenti. D’ora in avanti inizia la vera partita per Pablo Iglesias e i suoi, che partono terzi ma sono la forza in ascesa, mentre PP e PSOE sono quelle in discesa. È difficile ma non impossibile che Podemos sia la prima forza politica nelle prossime elezioni generali, o anche la seconda dietro al PP, situazione che comunque renderebbe molto difficile un governo stabile.

Sembra, quindi, che la caduta del blocco di potere che governa dal ’78 sarà lenta. Ma è possibile, e pare quasi irreversibile. Un sistema di rappresentanza bipartitico era uno degli elementi fondanti di ciò che chiamiamo Regime del ’78, l’espressione politica di un patto sociale che loro stessi hanno rotto contro le classi popolari e in favore del capitale finanziario.

Non sarà la rivoluzione, ma un governo con un programma anti-austerity nella quarta economia dell’euro può far collassare la governance della BCE, mentre il governo delle grandi città avrà effetti materiali importanti – anche se limitati – per molta gente sulla strada della povertà e dell’invisibilità politica.

E allora, i movimenti?

I rischi sono tanti, ed è vero che c’è uno spostamento di energie e agende politiche dalla politica dei movimenti verso lo spazio elettorale. Tale spostamento non è irreversibile, e non è neanche una scelta chiusa e lineare. Quasi nessuno legge qui tale situazione come “i movimenti oppure le istituzioni”; anzi, il nuovo scenario mette in crisi ambedue gli spazi politici.

Tra le priorità di Podemos non c’è quella di costruire movimento. Le sue figure più salienti sanno e dicono pubblicamente che Podemos serve ad assaltare le istituzioni e a governare. Niente di più.

Per chi voglia costruire ancora il partito organico, questa non è una buona notizia. Per chi sappia leggere che la crisi di potere in corso si produce sia nel campo del sociale che in quello istituzionale, a livello statale e municipalista, vengono tempi interessanti in cui rivendicare democrazia vuol dire rivendicare un cambiamento radicale delle posizioni di potere esistenti tra blocchi sociali.

Ogni tanto si dice che la cosa più interessante dei governi progressisti latinoamericani non è tanto ciò che fanno, ma ciò che lasciano fare. E noi, noi siamo autonomi, giusto?