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Il braccio di ferro con l’Unione Europea. Movimenti sociali e politica in Grecia

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Intervista ad ALEXIS CUKIER* - di DAVIDE GALLO LASSERE

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A partire dal 2008 la Grecia è stata attraversata da importanti cicli di lotta, i quali, tra le varie cose, hanno sicuramente comportato uno spostamento a sinistra dell’elettorato. Impossibile immaginarsi Syriza al 36% senza questi processi di contestazione. Dopo la vittoria elettorale del 25 di gennaio – che ha infuso coraggio e nuova speranza in vasti strati della società greca – è più necessario che mai il mantenimento della mobilitazione, sia per esercitare pressione sul governo, come contraltare alle minacce della Troika, sia per catalizzare nuove forme di radicalizzazione. Quali sono state le relazioni tra Syriza, la sua base e quella parte dei movimenti che l’ha sostenuta?

Quella che poni è una questione cruciale, da cui dipenderà in larga misura la prossima sequenza politica in Grecia. Bisogna innanzitutto ricordare, in effetti, che la vittoria elettorale di Syriza non sarebbe stata possibile senza cinque anni di mobilitazioni sociali molto intense: una decina di giorni di sciopero generale, l’occupazione di piazza Syntagma nel 2011, varie lotte settoriali – tra cui la lotta emblematica delle donne delle pulizie del ministero delle Finanze licenziate su ordine della Troika, e immediatamente reintegrate nella loro funzione pubblica dal nuovo governo –, e poi i comitati permanenti di quartiere o le nuove forme concrete di solidarietà, in particolare coi migranti e i clandestini. Uno dei fattori della riuscita di Syriza è chiaramente consistito nel pervenire a un rapporto di cooperazione con i movimenti sociali, relativamente rispettoso della loro autonomia. Tuttavia, sono anche le impasse di queste lotte sociali – duramente represse dal governo precedente e alla stretta a causa dell’impoverimento assoluto della popolazione e della disorganizzazione sociale dovuti alla terapia-choc dei memorandum – che hanno condotto, soprattutto i giovani, inclusi i più radicali, a votare per Syriza, nella speranza che questa vittoria potesse “sbloccare” la situazione. Ecco quindi la situazione al 25 gennaio, per come la vedo io: la vittoria di Syriza è percepita da una grande parte di militanti e di simpatizzanti dei movimenti sociali come la loro vittoria, sebbene viga una certa vigilanza: a differenza di quanto sostiene la propaganda reazionaria, nessuno ha creduto che le cose potessero migliorarsi rapidamente. Si tratta, appunto, di rilanciare le lotte sociali, ma questa volta con l’appoggio di un governo.

E ora, a più di un mese dalle elezioni, come sono evolute queste relazioni?

Credo che si debbano spiegare le cose in due tempi: prima degli accordi del 20 e 23 febbraio e dopo la settimana scorsa. Durante la prima fase, il rapporto tra il governo, Syriza, la sua base e i movimenti sociali costituisce il prolungamento diretto di ciò che ho appena descritto a grandi linee, anche se al tempo stesso avviene un grosso cambiamento: si tratta ora di combattere assieme contro un nemico esterno: la Troika – “le istituzioni” nel nuovo gergo tecnocratico – e le istituzioni europee. All’indomani della forzatura della BCE (che decide come per l’Irlanda nel 2010 e Cipro nel 2013 di non accettare più i titoli di Stato come collaterali nel finanziamento delle banche greche, e che contribuisce dunque a tagliare una fonte fondamentale di liquidità), il movimento delle piazze lancia delle manifestazioni di strada: il 5 febbraio migliaia di persone si riuniscono a piazza Syntagma (come a Tessalonica) per manifestare sostegno al governo nella lotta contro le politiche austeritarie e questo diktat della BCE. Si tratta di un appello autonomo, che non è stato lanciato dal governo, il quale – almeno all’inizio – non mi pare che fosse troppo a suo agio con questa situazione rara: la sua base comincia a uscire per strada per incoraggiarlo a “tenere duro” contro le “violenze” della Troika.

Malgrado il fatto che non si tratti di movimenti di grandissima ampiezza, si mette progressivamente in piedi una logica inedita: adottando un discorso piuttosto radicale nelle prime riunioni internazionali (come quando, per esempio, il ministro delle finanze Yanis Varoufakis dichiara in sostanza in un incontro con Jeroen Dijsselbloem: “la Troika non rappresenta un’istanza democratica, dunque non collaboreremo”), il governo si pone non solo agli occhi dei militanti ma anche di una parte sempre più grande delle popolazione come araldo di questa mobilitazione popolare. Il primo ministro Alexis Tsipras nel suo primo discorso di politica generale parla di “governo di salvezza pubblica”, sostenendo l’idea che negozierà presso l’Eurogruppo non soltanto tramite il mandato elettorale, ma anche con le forze dei greci e degli europei che sono scesi in strada. L’11, il 14 e il 15 febbraio, in effetti, avvengono delle nuove mobilitazioni a sostegno del governo contro l’Eurogruppo, in linea diretta con le negoziazioni; questo ad Atene e in molte città greche, come pure in altre capitali europee: circa 20.000 manifestanti a Roma sabato 14 febbraio, circa 2.000 a Bruxelles e a Londra e circa 5.000 a Parigi grazie all’iniziativa del collettivo unitario (Avec les Grecs) che riunisce associazioni, sindacati e partiti politici.

Dopodiché vi è l’accordo con l’Eurogruppo, che costituisce – in qualsiasi modo lo si valuti, credo che ci torneremo – la fine delle tre settimane dello “stato di grazia” del governo. In parte a causa del discorso ufficiale adottato da Tsipras, il quale parla di una prima vittoria e descrive le cose in maniera molto positiva, ma anche, direi, in parte perché un certo sentimento di impotenza torna ad aleggiare di fronte al potere delle istituzioni europee che cercano di impedire la realizzazione del programma di Tessalonica; per il momento, sfortunatamente, non vi è stata alcuna altra manifestazione di sprono al governo. Al contrario, il 27 febbraio vi è stata una prima manifestazione (di composizione variegata: movimento delle piazze, gruppi anarchici e autonomi, militanti del KKE e di Antarsya, ma anche militanti dell’ala sinistra di Syriza e recante lo slogan “Annullamento e non prolungamento dei memorandum. Nessun passo indietro. Non temiamo il Grexit”) nella quale si sono espresse rivendicazioni diverse, e persino contradditorie, rispetto alla posizione attuale del governo. Siamo chiaramente entrati in una nuova fase, che durerà senza dubbio fino alla prossima rinegoziazione generale con l’Eurogruppo tra quattro mesi, e molti scenari rimangono possibili, in funzione degli annunci del governo, dell’attitudine della Piattaforma di Sinistra (Aristeri Platforma) interna a Syriza e della capacità dei movimenti sociali di mobilitarsi in una situazione politica così provvisoria e incerta.

Veniamo invece alla questione concernente il debito e il rinnovo del finanziamento. Si tratta senz’altro della problematica più decisiva, in quanto preliminare all’implementazione di qualsiasi tipo di politica sociale ed economica. Come lo hai sottolineato, dopo la decisione di Draghi di non accettare i bond greci (malgrado il finanziamento indiretto del governo via il sistema bancario) e dopo il summit dell’Eurogruppo, le relazioni con l’UE sono sempre più tese. Se Syriza non è una forza anti-euro, per moltissima gente oggi in Grecia l’UE rimane comunque sia sinonimo di austerità e Troika. Cosa ne pensi di questa situazione veramente complicata che, appunto, cambia di giorno i giorno?

Sì, certo, anche dopo l’accordo con l’Eurogruppo del 20 febbraio e dopo l’approvazione di principio di una prima lista di riforme il 23 febbraio, le cose evolvono in fretta, ed è sempre difficile elaborare un’analisi concreta di una situazione concreta… Per comprendere lo stato della “negoziazione” – anche se in realtà di tratta di uno scontro, ad armi ovviamente impari, ma ci torno – tra la Grecia e le istituzioni europee, è necessario ricordare diverse cose riguardanti il carattere provvisorio di questo accordo, il suo contesto e i dibatti che ha suscitato.

Bisognare innanzitutto ricordare che questi accordi sono triplicemente provvisori. Sono condizionati dal voto (in corso) di tutti i parlamenti dei paesi membri dell’UE, tranne la Grecia dove il governo ha deciso di non votare questo accordo alla Vouli, per evitare che una quarantina di deputati contrari di Syriza votino contro e che simultaneamente l’accordo sia convalidato coi voti di Nuova Democrazia, del Pasok e di To Potami, ma anche, come ricordato dalla presidentessa della Vouli Zoé Constantopolou, perché questo voto fornirebbe una base legale a quest’accordo, cosa che potrebbe legare le mani al governo per i prossimi mesi. Inoltre perché la lista delle riforme può essere modificata e dettagliata fino ad aprile, con sicuramente dei conflitti d’interpretazione sulla compatibilità delle misure annunciate alla Vouli nel quadro dell’accordo dell’Eurogruppo. Infine perché si tratta di un “programma-ponte” che deve durare solo fino a giugno, data di conclusione di questo prolungamento dell’aiuto finanziario e di una nuova fase di negoziazioni tra il governo greco e l’Eurogruppo attorno a un nuovo “programma”. Tutto ciò per trarre, a mio avviso, due conseguenze: non si tratta oggi di considerare i vari punti come dei saggi commentatori del corso del mondo, alla stregua dei soliti numerosi giornalisti e colleghi; ogni valutazione della situazione costituisce anche un impegno nello scontro in corso, il quale non fa che cominciare.

Inoltre, bisogna ricordare che la fase di “negoziazioni” concernenti il prolungamento del programma di aiuti europei tra mercoledì 11 febbraio e martedì 24 febbraio ha avuto luogo in un contesto conflittuale, messo in atto prima della prima riunione a Bruxelles. Da una parte, la data della fine del programma di aiuti finanziari è stata fissata per il 28 di febbraio (data ingiustificata da un punto di vista economico ma che aveva giocato un ruolo importante nel calendario politico in Grecia in questi ultimi mesi), in modo da cascare a fagiolo per esercitare un ricatto economico sul governo greco e metterlo di fronte a questo double-bind: fallimento delle banche greche e svuotamento delle casse dello Stato oppure continuazione della terapia di choc austeritaria. Dall’altra, invece, la forzatura della BCE del 4 di febbraio, come detto poc’anzi, così come l’inizio di un bank run in Grecia, il quale ha avuto luogo negli stessi giorni dei negoziati, hanno ovviamente facilitato l’Eurogruppo. A queste pressioni economiche si è aggiunto un rapporto di forza politico estremamente sfavorevole al governo greco nell’Eurogruppo: malgrado l’espressione di qualche timida nuance (e malgrado l’ipocrisia manifesta di Hollande e Renzi, i quali cercano in continuazione di porsi come “mediatori” tra la Grecia e la Germania, mentre in realtà sono completamente allineati sulla posizione di Merkel), si è trattato per il ministro delle finanze Varoufakis di difendere la posizione di un paese contro diciotto ministri delle finanze ostili a questa posizione. Infine, la posizione del ministro federale delle finanze della Germania, Wolfgang Schaüble, e quella della cancelliera Angela Merkel, i quali, malgrado piccoli disaccordi, s’intendono alla grande per difendere una linea neoliberale molto dura, hanno finito per trasformare le negoziazioni in uno scontro ad armi ineguali. Si conosce il risultato: il governo greco ha dovuto accettare l’obiettivo di un rimborso dell’integralità del debito e l’obiettivo di un surplus primario del 4,5% nel 2016, così come non può “rimettere in causa le misure né proporre un cambiamento unilaterale della politica o delle riforme strutturali che potrebbero impattare negativamente sugli obiettivi budgetari, sulla crescita economica e sulla stabilità finanziaria”.

Nella lista delle riforme del 23 febbraio inviata dal governo greco vi sono senz’altro degli incontestabili miglioramenti rispetto al progetto del memorandum preparato in segreto dalla Troika a fine 2014, il cui contenuto era giunto furtivamente nelle “mail Hardouvelis” facendo precipitare la crisi politica greca, in quanto il primo ministro Antonis Samaras ha preferito indire le elezioni pur sapendo di perderle piuttosto che applicare le “raccomandazioni”: 160.000 licenziamenti supplementari nell’amministrazione (cominciando dalla sanità e dall’educazione), nuovo ribasso del 10% delle pensioni, nuove tasse, nuovo innalzamento dell’IVA, ulteriori salassi sui salari e nuove riduzioni nel budget sociale dello Stato. Vi sono inoltre delle importanti misure progressiste, in particolare l’istituzione di strumenti a grande scala, inediti e salutari, per contrastare la frode e l’evasione fiscale così come la corruzione, la depenalizzazione dell’indebitamento per le persone a basso reddito, l’impegno a non espropriare i piccoli proprietari indebitatisi per la prima casa, il principio delle misure d’urgenza (alimentazione – sono previsti dei buoni pasto –, sanità ed energia) contro la povertà dilagante, il progetto di un reddito minimo garantito. Ma il quadro neoliberale permane: proseguimento dell’austerità (in particolare per la sanità, i salari e le pensioni) e concessioni al credo neoliberale (redditi e valutazioni individualizzati, massimizzazione della mobilità delle risorse umane, ecc.), impegno a pagare interamente il debito, impiego di 10 miliardi di euro dell’HFSF (Fondo ellenico per la stabilità finanziaria) non per il budget dello Stato greco ma solamente per la ricapitalizzazione delle banche, nessun ritorno indietro rispetto alle privatizzazioni e alla prospettiva di nuove privatizzazioni, promozione della competizione, apertura al capitale delle professioni regolamentare, ecc. con posticipazione invece dell’aumento del salario minimo e della restaurazione della negoziazione dei salari.

Si capisce quindi il perché dei dibatti interni a Syriza e alla sinistra radicale internazionale: si tratta di una vittoria, di una disfatta o di un status quo? Dal mio punto di vista, questa questione dipende dalla valutazione della situazione politica generale. Penso che però ci si possa accordare su qualche punto: 1. le istituzioni europee hanno di nuovo manifestato il loro carattere profondamente antidemocratico e le loro posizioni accanitamente neoliberali; 2. la messa in opera di un programma di sinistra in un paese dell’UE non può farsi che nella cornice di uno scontro diretto, di un’inversione del rapporto di forza o di una rottura. Niente di nuovo per i/le militanti e i/le ricercatori/trici della sinistra radicale, ma si può sperare che malgrado l’intensa propaganda mediatica di queste ultime settimane contro il governo Syriza una parte crescente della popolazione stia capendo queste coordinate del problema.

Hai fatto più volte riferimento al fronte internazionale, dove si intravvedono alcune contraddizioni. Se, da un lato, Germania e paesi del Nord propongono un duro braccio di ferro, Italia e Francia – come c’era da aspettarsi – non hanno appunto fornito alcuna sponda politica favorevole alla Grecia, così come i governi di Spagna, Portogallo ed Irlanda. Per sottrarsi ai diktat dell’austerità più indefessa, Atene ha così cominciato a guardare fuori dall’UE: Russia e Cina da una parte, mondo anglosassone dall’altra… Per quanto riguarda i movimenti, invece, in varie parti d’Europa si stanno creando diverse forme di sostegno alla svolta greca. Che importanza assumono, dal tuo punto di vista, la solidarietà e l’appoggio internazionali?

Distinguerei innanzitutto tre questioni: quella dei rapporti di forza istituzionali nell’UE, quella delle urgenze del governo greco e quella della mobilitazione internazionale, sapendo chiaramente che si può sperare che le tre evolvano congiuntamente in un senso favorevole… sebbene le temporalità non siano le stesse. Come lo hai ricordato, ci sono stati dei disaccordi nell’Eurogruppo, le posizioni dell’Ordnungspolitik di Schaüble e quella del social-liberismo di Renzi e Hollande, per esempio, non sono esattamente sovrapponibili. Come abbiamo visto, tuttavia, oggigiorno è senz’altro la cancelliera tedesca, ossia gli interessi economici della Germania, ad effettuare la sintesi e a decidere in ultima istanza. Bisogna notare inoltre come gli altri governi dell’Europa del Sud, e in particolare della Spagna, si siano rivelati i più ostinati oppositori alla posizione greca: di fronte alla contestazione popolare in Spagna, alla minaccia di Podemos (che pare possa riuscire a vincere le prossime elezioni), Rajoy non ha che da perdere dalle concessioni al governo guidato da Syriza. Aspettando una possibile vittoria di Podemos in Spagna e un successo elettorale di Sinn Fein in Irlanda – non è un caso, ovviamente, se questi due paesi hanno subito gli attacchi più violenti delle terapie choc della Troika e dell’UE –, il governo greco è, da un punto di vista istituzionale, completamente isolato nell’UE. Si capisce che delle discussioni – ancorché ufficiose – siano state intraprese con Russia, Cina e Usa. Ma bisogna rimanere prudenti a tal proposito, e distinguere chiaramente i tre casi, in quanto le cose sono estremamente complesse e gli interessi non coincidono affatto. La Russia di Putin ha chiaramente proposto un aiuto economico in cambio di un sostegno geopolitico nel braccio di ferro in corso (attorno alla questione ucraina, ma non soltanto) con gli Usa e l’Europa e si dà il caso che tradizionalmente la sinistra greca sia piuttosto anti-atlantista – criticare la NATO o l’imperialismo dell’UE non è tabù in Grecia. Dunque questa discussione è possibile, sebbene per il momento mi pare che si tratti essenzialmente per il governo greco di pesare nella negoziazione con l’Eurogruppo, e non di immaginare un avvicinamento con Putin. Per quanto riguarda la Cina, si vedono chiaramente gli interessi del governo di Xi Jinping: da un punto di vista geopolitico, continuare a presentarsi come una “forza tranquilla” autonoma rispetto a Usa e UE, e salvaguardare i suoi interessi economici in Grecia, che sono importanti: come lo si è visto negli imprevisti della negoziazione attorno allo stop o al prolungamento della vendita della società di gestione del porto del Pireo alla società cinese Cosco, che ha grandi ambizioni nel Mediterraneo. Infine, per quanto concerne gli Usa, le cose sono ugualmente piuttosto chiare: Obama si è pronunciato a più riprese a favore di Tsipras durante i negoziati e si è pure presentato come l’araldo internazionale della lotta contro l’austerità, ma si è più che altro trattato per lui di difendere gli interessi del dollaro, evitando un ulteriore ribasso dell’euro, la cui minaccia pesa molto negli scambi commerciali transatlantici. Per riassumere, salvo lo scenario di Grexit, a mio avviso (ma posso sbagliarmi), si tratta semplicemente per la Grecia di rivendicare dei margini d’indipendenza rispetto all’UE e di tentare di pesare nei rapporti di forza. Solamente, come lo si è capito, la leva che agisce presso le istituzioni europee è politica, non economica. Ben inteso, se la Grecia si esclude dalla zona euro, ciò cambierà sostanzialmente il dato da questo punto di vista.

Hai parlato di “Grexit”… secondo te rappresenta uno scenario possibile, auspicabile?

Sì, penso che sia uno scenario possibile: Schaüble è favorevole da molto tempo, Merkel lo ha esplicitamente evocato, economicamente non costituisce un autentico problema per la zona euro, e se ciò comporta dei rischi politici, ebbene questi potrebbero rivelarsi meno pericolosi che una contestazione interna al neoliberalismo e molto tenace. In più, se il governo, come spero, cerca effettivamente di disobbedire concretamente al quadro dell’accordo con l’Eurogruppo facendo votare delle leggi progressiste vietate da quest’accordo, le cose potrebbero precipitare in fretta. Ora, si tutto ciò sarebbe auspicabile per i greci? Si tratta di una questione difficile. Vorrei dire solamente che viene posta dentro Syriza, non se ne parla nei media ma la Piattaforma di sinistra – che ha appena allargato la sua influenza durante l’ultimo Comitato centrale e che ha il vento in poppa nel partito – sta attualmente lavorando a un “Piano B”, una strategia alternativa a quella che ha prevalso finora nella negoziazione con l’UE. La sua posizione corrisponde a quella che era maggioritaria in Syriza nel 2012: “l’euro non è un feticcio”. In una situazione così complessa e costrittiva, penso che bisogna prendere in considerazione tutte le soluzioni, tentare di misurare le conseguenze sociali, economiche e politiche di ogni decisione. Nessuna soluzione s’impone fin dall’inizio. Secondo me, il criterio decisivo è il seguente: quali decisioni permetteranno di realizzare l’essenziale del programma di Tessalonica? Mi sembra che la realizzazione di questo programma – che è evidentemente favorevole alle classi popolari e medie, il programma più radicale che sia mai stato elaborato nel quadro dell’UE e che è stato democraticamente scelto dalla maggioranza dell’elettorato greco – debba costituire la prima priorità.

Passiamo a una questione annessa. Durante una conferenza stampa a Berlino, a fianco di Schaüble, riferendosi ad Alba Dorata Varoufakis ha detto: “No one understands better than the people of this land how a severely depressed economy combined with a ritual national humiliation and unending hopelessness, can hatch the serpent’s egg within its society. When I return home tonight, I will find a country where the third-largest party is not a neo-Nazi party, but a Nazi party. We need the people of Germany on our side.” Malgrado gli arresti dei vertici dell’organizzazione, Alba Dorata vanta ancora una larga presenza del paese. Come consideri la sua situazione attuale?

Vorrei sottolineare innanzitutto come questo argomento di Varoufakis, sebbene sia molto giusto, non abbia sortito alcunché in Germania: nessuno vuole vedere, o trarre le conseguenze, della correlazione diretta tra l’imposizione antidemocratica delle politiche d’austerità e la salita di partiti di estrema destra in Europa… Mi è stato detto che il governo greco contava molto su questo argomento, ma pare che Varoufakis e Tsipras abbiano dovuto disilludersi. Vi è una cecità pressappoco completa di Merkel, ma anche di Hollande, rispetto alle loro responsabilità a tal proposito; e chiaramente questo accecamento è piuttosto confortevole: tutta la pressione riposa sul governo greco, di cui si potrà dire, se il suo tentativo dovesse fallire, che è parte in causa nella risalita di Alba Dorata. Da un punto di vista generale, la dottrina dei governi Samaras e Venizelos, condivisa dalle istituzioni europee, di una “parentesi di sinistra” (giocare il crollo di Syriza di fronte alla gabbia d’acciaio del neoliberalismo) è decisamente rischiosa. Vorrei insistere sul fatto che non abbiano tratto alcuna lezione dalla storia del XX° secolo: si sta giocando col fuoco!

Tuttavia, la minaccia Alba Dorata, per il momento (tenuto conto del fatto che si poteva temere – perlomeno nel mio caso – qualche anno fa che si sarebbero potuti erigere a principale forza di cambiamento politico), è stata tutto sommato ben contenuta in Grecia. Da una parte, lo hai ricordato, certi responsabili del partito che erano stati eletti a deputati nel 2012 (in particolare il loro capo, Nikolaos Michaloliakos, e il porta-parola Ilias Kasidiari) sono stati arrestati dalla polizia anti-terrorista nel 2013, e il processo dovrebbe cominciare nelle prossime settimane. Dall’altra, il governo mi pare piuttosto cosciente del pericolo di una destabilizzazione politica putchista – la quale, se lo cose dovessero prendere questa deriva, potrebbe venire dalla polizia piuttosto che dall’esercito –, e vi è globalmente una certa vigilanza generalizzata piuttosto rassicurante (in particolare presso i gruppi antifascisti). Infine, il governo Syriza è riuscito ad articolare discorso di classe, fierezza nazionale e posizione internazionalista, in una maniera certo abbastanza moderata ma intelligente, ricordandomi in certi discorsi la questione del “blocco nazionale popolare” in Gramsci. Oltretutto, una parte dell’elettorato di Nuova Democrazia e di Alba Dorata non è ostile al governo attuale… per il momento almeno.

Evidentemente, questi elementi positivi non devono impedirci di constare alcune cose: Alba Dorata rappresenta in effetti il terzo partito alla Vouli, i suoi quadri sono apertamente nazisti e pericolosi e vi è tutt’ora un terreno potenzialmente propizio al suo sviluppo (la dittatura dei colonnelli non è poi così lontana, il nepotismo politico è stato la regola negli ultimi decenni, il sentimento di umiliazione nazionale potrebbe rivoltarsi contro la sinistra radicale e giocare a favore dell’estrema destra in caso di arretramento politico, ecc.). Ma vorrei dire una cosa in modo diretto e provocatorio: oggi il nemico è all’esterno, si tratta delle istituzioni europee, e l’estrema destra non ha nessuna chance di prendere l’iniziativa se l’UE e il padronato greco non la supportano cercando di far crollare il governo condotto da Syriza.

Ci sarebbero ancora molte questioni da sollevare… Vorresti commentare brevemente, per concludere, le prime misure introdotte dal ministro dell’interno concernenti la polizia e i diritti di cittadinanza per i migranti?

Ciò fa incontestabilmente parte delle principali buone notizie di queste ultime settimane. Il ministro dell’interno, Nikos Voutsis, ha annunciato una riforma della polizia al fine di contenere le sue “tendenze autoritarie”, e dei cambiamenti pratici hanno già avuto luogo: in occasione della manifestazione antifascista del weekend successivo alle elezioni, non vi era alcuna presenza poliziesca, le barriere erette davanti al parlamento sono state levate e Tsipras ha dichiarato che il governo non ha paura del popolo, ecc. Si è a lungo commentata in Grecia una foto di Nikos Voutsis, l’attuale ministro dell’interno, in piena bagarre con i MAT (i corpi speciali) davanti agli edifici della televisione pubblica al momento della loro chiusura nel 2013… Dal punto di vista generale, sulle questioni di sicurezza (in tutti i sensi del termine [sécurité/sûreté]) le cose erano già chiare durante la campagna elettorale: Syriza è riuscita a smontare la propaganda di estrema destra condotta da Samaras, il quale non aveva esitato per esempio a strumentalizzare gli attentati di Parigi ai suoi fini, insinuando la minaccia di attentati simili in Grecia se Syriza – partito “lassista”, “pro-immigrazione” ecc. – fosse giunto al potere.

Dall’altro, come hai menzionato, gli annunci della vice-ministra delle politiche migratorie, Tasia Christodoulopoulou, rappresentano delle conquiste molto importanti per la Grecia. Lo ius soli rimpiazza lo ius sanguinis e 200.000 bambini figli d’immigrati otterranno dunque la nazionalità greca. Ha inoltre annunciato la chiusura di tutti i CIE (ricordo che gli accordi europei di Dublino II prevedono che i paesi del Sud svolgano il ruolo di frontiera repressiva nella Fortezza Europa, e si può sperare che la Grecia farà sentire con forza la denuncia di questo accordo presso le istituzioni europee).

In effetti la sua integrazione nell’équipe ministeriale era già un segnale positivo. Tasia Christodoulopoulou è una giurista militante, che difende da sempre la causa delle donne e dei migranti, una donna coraggiosa e impegnata come non ve ne sono mai state in un governo greco. Vi sono troppe poche donne in questo governo, ma quelle che ne fanno parte sono delle donne politiche esemplari: come Zoé Konstantopolou, avvocatessa e donna politica greca che presiede la Vouli, la quale ha annunciato delle commissioni di audit sul debito greco e delle inchieste sulla corruzione dei ministri precedenti, oltre che sul carattere illegale dei memorandum.

Bisogna terminare quest’intervista, e ciò che abbiamo appena detto a proposito di queste due donne politiche esemplari mi permette di concludere così. Vi è in Grecia un governo condotto da Syriza, composto per una grande maggioranza di da persone di sinistra, alcune delle quali sono dei veri militanti. Vi sono certo delle sensibilità differenti, ma a differenza di tutti i governi degli altri paesi europei (se vi sono delle eccezioni, beh, non si sono certo mostrate come tali), sono effettivamente progressiste, opposte al neoliberalismo, all’austerità e a tutte le forze politiche reazionarie. Ma questo governo è oggi confrontato a delle costrizioni economiche e politiche estremamente rigide, quelle della Troika e delle istituzioni europee. La vittoria o lo scacco di questo governo nella messa in opera del suo programma (e in questa temporalità molto accelerata imposta dall’UE, le cose potrebbero procedere piuttosto rapidamente), rappresenterà una lezione storica da cui dipenderanno il futuro e la strategia di tutte le forze della sinistra radicale in Europa nei prossimi anni.

 

Alexis Cukier si è dottorato in filosofia, è ATER all'università di Poitiers e membro del laboratorio Sophiapol (Nanterre). Si interessa in particolare ai rapporti tra lavoro, affettività e potere, e ha curato diversi libri di filosofia politica e di teoria sociale. È membro di Ensemble!