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Il Mondiale non si farà

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di BRUNO CAVA

→ Português

Mancano dieci giorni all’inizio del Mondiale in Brasile e il paese sembra preparato. Gli stadi sono stati terminati con soddisfazione, con un saldo di nove operai morti in lavori ultra–accelerati per rispettare le scadenze. Almeno ottomila famiglie sono state sgomberate, a causa di lavori edili direttamente relazionati al megaevento. Sono state trasferite dai programmi abitativi del governo oppure in cambio di un “affitto sociale”. Facendo eco a discorsi diffusi nell’epoca della dittatura, la presidentessa Dilma ha garantito: “non ci saranno tumulti quest’anno, l’esercito è pronto”. L’allenatore Scolari ci ha già avvisati: “i giocatori non si preoccupano minimamente delle proteste”. Il governo ha istituito una centrale di monitoraggio che, dall’anno scorso, si sta preparando a studiare e reprimere scioperi, rivolte ed eventuali manifestazioni che minaccino il perimetro di sicurezza dei giochi. Traendo beneficio dalla “Legge Generale della Coppa” (una legislazione eccezionale), la FIFA ha ottenuto il monopolio dello sfruttamento del patrimonio immateriale associato all’evento. La federazione ha registrato più di 1.100 marchi all’istituto nazionale dei brevetti, incluse le parole “pagode” (un ritmo musicale) e “Natale 2014”. Agli ambulanti è vietato avvicinarsi agli stadi, e le operazioni di ordine sono equipaggiate a raccogliere senzatetto e tossicodipendenti. Il contingente poliziesco dislocato nelle strade è immenso, e la compera di armamenti letali e meno letali è stata massiva, all’interno di uno schema di sicurezza grande e costoso.

Tuttavia, le circostanze sono estremamente favorevoli per le proteste brasiliane. É vero che le mobilitazioni segnate dallo slogan “Não vai ter Copa”, durante il 2014, non sono riuscite a riunire numeri significativi, arrivando a mille, duemila o al limite tremila persone. Ma esiste un’altra dimensione del clima “Não vai ter Copa”, che è diffusa e molto più imprevedibile. Nel paese del calcio, non sembra neppure di essere a pochi giorni dall’inizio del maggior evento per questo sport. Non si sta realizzando quell’atmosfera di celebrazione e unificazione dello spirito nazionale che abbiamo visto negli altri anni del Mondiale. La maggioranza può anche tifare per il team brasiliano, tuttavia non cade nel solito sciovinismo propagandato dalle grandi corporation e dalla pubblicità del governo. Le reti alberghiere sono frustrate dal calo della domanda da parte dei turisti. Quattro anni fa vi erano centinaia di iscrizioni per il concorso della strada più bella e adornata; quest’anno sono state infiocchettate solo poche strade grazie a sponsor privati, mentre ha avuto luogo un contro–concorso per graffittare e “disadornare” le strade come protesta contro la Coppa. La stessa parola “Coppa” è stata considerata un tabù in una ricerca di un’impresa pubblicitaria, e gli sponsor hanno iniziato a utilizzare il termine “Mondiale” o a pubblicizzare solamente la selezione e non la Coppa stessa, al fine di salvare gli investimenti nei marchi FIFA. Persino il governo sta percependo l’anticlimax e minimizzando i danni. L’apoteosi del nuovo Brasile ricco e sviluppato fallirà, e questa è una vittoria dei movimenti.

Il fatto è che le giornate di giugno 2013 hanno cambiato irreversibilmente lo scenario. Nel corso di due decadi, la modernizzazione capitalista del Brasile ha portato, suo malgrado, una rivoluzione sociale nel paese, che ora allarga le sue richieste e approfondisce il desiderio di cambiamento. Vi sono analisti che si limitano ad accusare un modello di inclusione sociale basato sul consumo, come se le persone fossero oggetti passivi delle trasformazioni del mondo del lavoro. Altri analisti, compiendo l’errore diametralmente opposto, festeggiano i numeri e gli indici che mostrano una massiccia sussunzione della popolazione nei circuiti del lavoro e del consumo. Né l’uno, né l’altro. Le giornate di giugno hanno mostrato l’errore politico che consiste nell’insistere in questa dialettica fra gauchisme e governismo, esponendo un “continente sconosciuto” che sfuggiva ai calcoli e ai modelli. Il governo pianifica di attingere alle Indie della prosperità per formare un paese forte, di classe media, che si rispecchi nelle economie centrali del fordismo, ma ha battuto la testa in questa terra abitata dagli “indios”. I gauchisti interni ed esterni al governo hanno criticato l’abitudine di chiamare gli indios “depoliticizzati”, “disorganizzati” e consumatori di sciocchezze, esattamente come fecero i colonizzatori nel XVI secolo. Ma questi “indios”, consumando e organizzandosi in altri termini, si sono preparati anch’essi, si sono riuniti in confederazioni, e si sono armati con gli strumenti dei colonizzatori stessi. La modernizzazione brasiliana si è dovuta scontrare con un’alterità radicale, dentro e contro un modello di inclusione sociale e sviluppo che non riesce più a frenare i paradossi ad esso intrinseci. 

“Não vai ter Copa” è il grido salito dalle strade nel 2013, e l’unico irrecuperabile dalle forze di partito che iniziano a cercare di catturare la potenza delle nuove reti per le elezioni di ottobre. “Não vai ter Copa” esprime tanto le conquiste primarie in termini di organizzazione dei nuovi movimenti di questo continente “scoperto”, quanto la percezione diffusa, latente, di una composizione sociale in stato di intensa politicizzazione, la quale lotta per servizi migliori e maggiori diritti. Le sinistre sono tornate a prendere appunti, mentre un intenso processo di riorganizzazione continua ad agire, liberato da qualunque cattura da parte della sfera della rappresentazione brasiliana. A Belo Horizonte, le occupazioni territoriali si sono moltiplicate quest’anno, fra nuovi collettivi, attivismo mediatico, cartografie militanti e un allargamento della cultura di strada (come la “street art” – da distinguersi dai “graffitti”). In ciò si evidenzia la forza organizzativa autonoma del gruppo “Brigadas Populares” (Brigate Popolari), che fa conricerca assieme ai poveri. A San Paolo, il Movimento dei Lavorati Senza Tetto (MTST) ha organizzato una protesta contro la Coppa e per i diritti con ventimila manifestanti, riuscendo ad agglutinare intorno al suo asse vari gruppi importanti della lotta nella città, come il Movimento Passe Livre (MPL) e il Comitato Popolare della Coppa. Un accampamento di senza tetto dell’MTST è stato montato a pochi chilometri da Itaquerão, il nuovo stadio del Corinthians costruito per il Mondiale, un progetto di Lula. A Rio de Janeiro, al di là delle nuove reti di collettivi, si intensificano le rivolte nelle favelas, come al solito represse brutalmente a mezzo di munizioni letali, mentre scioperi selvaggi – come quello dei netturbini, degli autoferrotranvieri e dei professori –, anche contro i sindacati, aggiungono un ingrediente di indignazione al fermento già spumeggiante.

Il Mondiale già non si è fatto. Il Mondiale che si farà è quello dei diritti. Dopo il Brasile, il Mondiale non sarà più lo stesso.

 

* Traduzione di Luca Guerreschi.