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Quando la dignità scende in piazza

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di CARLOS HERAS RODRIGUEZ

[La Spagna non è più la Spagna del 15M. Sono ormai passati tre anni dal movimento delle acampadas e – non poteva essere altrimenti – le lotte e le sue soggettività sono mutate. A partire dall’enorme mobilitazione delle Marce per la Dignità del 22 marzo a Madrid, proiettando uno sguardo critico e militante sui processi conflittuali che l’hanno preceduta, attraversata e che continuano a svilupparsi diffusamente sui territori, ci proponiamo di indagare quelle lotte che caratterizzano la Spagna di oggi. In particolare, ci interessa cogliere quali sono le continuità e le discontinuità con il 15M, le trasformazioni delle soggettività in gioco, le potenzialità e le criticità dei processi organizzativi in atto, con il fine di ricavarne un quadro complessivo – per quanto limitato e parziale – tracciato dalle vecchie e nuove linee conflittuali che stanno ridisegnando la geografia di un paese in lotta contro austerity e governance liberticida.]

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Sabato 22M migliaia di persone da tutto il paese sono arrivate a Madrid, tanti in autobus e tanti a piedi, dopo aver percorso il paese per quasi un mese, per partecipare all’enorme manifestazione che ha accolto le “Marchas de la dignidad” (Marce della dignità). Circa un milione di persone hanno partecipato alla più grande manifestazione dopo le mobilitazioni contro la guerra di Iraq.

L’iniziativa del 22 di marzo, proposta inizialmente dal sindacato conflittuale andaluso SAT, il Frente Cívico e i “Campamentos Dignidad” in Extremadura, è stata ovunque assunta dal movimento. Con le parole d’ordine “non pagare il debito” e “fine delle politiche di austerità”, le marce hanno virtuosamente attivato le strutture di movimento a due mesi delle elezioni europee, prima tappa di un ciclo elettorale che vedrà la Spagna impegnata anche nella primavera del 2015 con le elezioni comunali e nella maggior parte delle regioni e poi in autunno con quelle nazionali. E le strutture di movimento sono apparse robuste, capaci di costruire un grande evento a dispetto del boicottaggio mediatico. L’appuntamento del 22 marzo è stato infatti prima ignorato e poi, a tre giorni dalla mobilitazione, criminalizzato dai media con le tipiche accuse di essere antisistema e violento. Ciononostante, la data è stata costruita anche senza la presenza delle grande istituzioni della sinistra che erano presenti invece nel periodo di mobilitazioni contro la guerra (dal PSOE alle grandi centrali sindacali UGT e Comisiones Obreras). Cosa che ha dimostrato sia la capacità logistica e organizzativa che quella politica dei movimenti capaci di portare in piazza una composizione larghissima, non (solo) militante, e questo dopo che, dal periodo di sedimentazione e sviluppo del movimento del 2011, non riusciva a portare avanti manifestazioni così palesemente forti.

Nonostante la partecipazione massiva alla giornata, l’immagine mediatica è stata quella degli scontri provocati dalla polizia, che ha iniziato le cariche alla coda del corteo (autorizzato) nel bel mezzo del concerto della Solfonica. La giornata è finita con 24 arresti (uno di loro ancora in galera senza nessuna prova incriminante) e cento feriti. Una cosa che è divenuta via via più abituale in Spagna, diventando l’unica risposta all’espressione di una maggioranza sociale contro l’austerità, alla domanda sociale di cose basilari come pane, tetto e lavoro e alla squalificazione e al blocco istituzionale (c’è da ricordare il rifiuto del parlamento di approvare un’iniziativa legislativa per il diritto all’abitare nonostante il milione e più di firme che primavera scorsa avevano sostenuto l’iniziativa).

La moltitudine vista il 22 marzo nelle strade di Madrid è l’espressione di una serie di lotte che si sono sviluppate con particolare forza a partire dalla primavera del 2011, riuscendo a conseguire piccole vittorie più o meno locali e parziali. C’è la Plataforma de Afectados por la Hipoteca (PAH; Piattaforma colpiti dall’ipoteca) e il movimento per la casa che ogni giorno bloccano sfratti in tutto lo stato e occupano edifici per offrire soluzioni abitative; ci sono le lotte dei lavoratori della Coca-Cola o Panrico, in conflitto da mesi per fermare licenziamenti e contrastare il peggioramento delle condizione lavorative; c’è stato lo sciopero dei lavoratori della pulizia stradale a Madrid che con tredici giorni di lotta sono riusciti a fermare più di mille licenziamenti previsti da un cambio di subappalto; ci sono i sindacati conflittuali come CGT che puntano alla costruzione di un altro sciopero generale; ci sono le “maree” in difesa dei servizi pubblici come la sanità e la formazione che da due anni hanno coinvolto tutta la comunità cittadina in una dimensione comune che va molto al di là della semplice difesa del posto di lavoro; ci sono le assemblee di quartiere nate dal caldo del movimento 15M. Ci sono e si sono fatte vedere anche le diverse forme organizzative e d’espressione che lottano contro un regime sempre più instabile che non soddisfa più i minimi requisiti per una vita dignitosa.

Cosa rimane di quella primavera?

Spesso, fuori dalla Spagna, i compagni chiedono cosa sia rimasto del movimento 15M. La risposta è tutto e nulla, perché il movimento è mutato tanto dal suo inizio. Ha assunto molteplici declinazioni: dalla lotta per la casa alla difesa dei servizi pubblici in via di privatizzazione, dalle assemblee di quartiere alle incipienti forme di attacco alle istituzioni rappresentative, dai nuovi e vecchi centri sociali attraversati da una nuova generazione di attivisti alle nuove istituzioni del comune in continua definizione e sviluppo. Più che altro, allora, si tratta di capire il 15M come condizione di possibilità di tutto ciò che viene dopo. Il punto di non ritorno per cui entra a far parte del senso comune l’idea che ciò che viviamo è una truffa e non una crisi. La possibilità di rispondere agli attacchi della casta neoliberista senza bisogno delle grandi istituzioni sindacali, e di farlo in forma massiva e autonoma. Il 15M è stato l’insegnamento di una nuova grammatica politica che dobbiamo imparare se vogliamo rovesciare la cornice della rappresentanza politica e i consensi del patto costituzionale del 1978.

La domenica successiva alle marce della dignità è morto Adolfo Suárez, primo presidente eletto dopo la dittatura e, insieme al re, simbolo della “esemplare” transizione spagnola alla democrazia. È morto l’uomo del consenso, il cucciolo del franchismo che diventò (come tanti tra chi comandavano allora) democratico negli anni della morte del dittatore. Il giorno dopo la lezione di dignità del 22 marzo, moriva l’artefice della Costituzione del 1978, quella votata da tutti (dai comunisti legalizzati a qualche nostalgico del franchismo, passando per i socialisti e il centro-destra), quella che riconosce diritti come l’abitare o il lavoro ma non li garantisce.

Però il Regime del 1978 e il patto sociale che rappresenta erano già morti da un po’. Morti perché rotti dall’alto l’estate del 2011 quando i principali partiti del sistema costituzionale si sono messi d’accordo per modificare l’articolo 135 della costituzione, subordinando la garanzia di pensioni e servizi pubblici agli obiettivi europei di equilibrio fiscale e, quindi, al pagamento del debito alle banche. Si è cominciato a rompere questo patto sociale anche dal basso con la disobbedienza massiva delle “acampadas” nel 2011. E continua a essere rotto ogni mattina che si ferma uno sfratto e si mettono giustizia, solidarietà e dignità davanti alla legalità assassina di chi sfratta, ogni volta che si fa uno sciopero in difesa dei diritti svenduti dalle successive riforme lavorative, ogni volta che si occupa una succursale bancaria per denunziare i colpevoli della crisi.

Il Consenso della Transizione, basato sull’unità del territorio spagnolo, il rispetto per una democrazia di mercato e la rappresentanza assestata sul bipartitismo, ha cominciato a crollare sin dall’inizio di questo ciclo di lotta. Quando nella Diada (festività nazionale catalana) una catena umana ha circondato tutto il territorio catalano chiedendo l’indipendenza, quando si occupano le case mettendo i bisogni concreti della gente davanti alle logiche di mercato e alla speculazione, quando nel 2011 in così tanti siamo scesi in piazza per dire che non ci rappresentano.

La democrazia che viene

Di fronte a una maggioranza che si esprime così chiaramente e largamente contro l’austerità e il governo del debito, il governo reagisce soltanto con criminalizzazione e repressione. Dopo la manifestazione di sabato 22, mercoledì 26, la polizia ha arrestato 54 studenti che avevano occupato una sede dell’Università Complutense di Madrid come segno di protesta contro i tagli alle borse di studio. La deriva autoritaria del governo spagnolo non è che un ulteriore segno del problema finale: la democrazia. Oggi la questione non è su un tema specifico e nemmeno contro un governo particolare. In Spagna, e in tutta Europa, ci stiamo giocando il passaggio a un nuovo patto sociale che può avere una deriva (come si è visto finora) più austericida e autoritaria, oppure aprire uno spazio per ripensare da capo un sistema che possa garantire i diritti attraverso forme di partecipazione e presa delle decisioni collettive che sono altre dalla democrazia rappresentativa.

In tanto, e parallelamente ai momenti in cui il movimento si esprime, si sviluppano diversi iniziative a vocazione costituente che puntano a utilizzare le istituzioni effettivamente esistenti: l’iniziativa legislativa per un reddito di base, che prova a favorire un dibattito sociale e istituzionale sull’argomento, come la PAH aveva già fatto col diritto all’abitare e il dación en pago (la possibilità di risolvere il contratto impotecario con la restituzione della casa e la concellazione del debito, cosa che non è riconosciuta dalla maggior parte dei contratti in Spagna); il Movimiento por la Democracia, che proporre un processo costituente (statale ed europeo) attraverso i temi condivisi nella lettera per la democrazia e una consulta cittadina; le iniziative elettorali “di movimento” che puntano alle elezioni europee ma, sopratutto, al 2015, e che attualmente sono impegnate sul piano delle elezioni primarie aperte attraverso internet – sia Podemos approfittando della figura mediatica di Pablo Iglesias Turrión che il Partido X con una notevole capacità innovativa nei processi di organizzazione ed elaborazione programmatica.

Tutte queste cose, che sono esperimenti, più o meno sbagliati, non hanno però la minima possibilità di successo senza una mobilitazione sociale forte e sostenuta. In questo senso, l’irruzione delle marce della dignità sono un’eccellente notizia. Speriamo solo che i funerali di stato di Adolfo Suárez siano sopratutto i funerali di questo Regime caduco e che lascino il passo alla democrazia che viene: quella che non si intende senza diritti e che non si sostiene che dal basso, dai processi di organizzazione e lotta quotidiana.