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Tuo, mio, nostro? Ora siamo tutti insieme nella lotta!

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di EMIN EMINAGIC

Oggi, 5 febbraio, la città di Tuzla in Bosnia-Erzegovina ha assistito ad una protesta, scoppiata con violenza. Questa protesta era partita come una pacifica adunata di persone, per la maggior parte lavoratori di aziende privatizzate o fallite, seguita da studenti, attivisti e altri. Il concentramento era nato in risposta alla privatizzazione di alcune grandi industrie di Tuzla (Konjuh, Polihem, Dita, Resod-Guming), che erano state la maggiore risorsa di reddito per la città e la sua popolazione. Questo ha portato in strada i lavoratori a lottare per la loro stessa esistenza. U simile stato di cose é ciò che ha connotato la prima protesta di questo genere in Tuzla, che ha visto circa 3000 persone scendere in strada, occupare le arterie viarie più importanti della città e bloccare così il traffico per diverse ore. La contestazione si é tramutata in un violento riot urbano quando la polizia é arrivata per allontanare i manifestanti dalle sedi del Governo e della Corte cantonale. I lavoratori rivendicavano orari lavorativi più sostenibili, un miglioramento del welfare sanitario e la possibilità di avere una pensione. Vengono reclamate condizioni di una vita dignitosa e un impiego per i giovani, tra cui il tasso di disoccupazione cresce ogni minuto.

Parte dell’organizzazione e delle informazioni sulla manifestazione sono state diffuse e condivise attraverso gruppi Facebook come “50,000 Za bolje sutra” (50.000 per un domani migliore) e “Udar”. La parte più consistente dell’organizzazione é rimasta comunque nelle mani dei sindacati dei lavoratori delle aziende sopracitate. Le proteste sembrano avere molto più successo di una serie di contestazioni su piccola scala dei lavoratori di queste imprese negli ultimi dieci anni, dal momento che ora sono molto più visibili ed esposti, e allo stesso tempo si tratta del primo tentativo dal dopoguerra di unificare le proteste dei lavoratori. Proverò a tracciare una linea cronologica del processo di privatizzazione di Dita, che é un esempio chiaro e, per come è avvenuto da allora a oggi, descrive tale processo nel modo più sintetico.

Nel 2009 il 59% del capitale di Dita, secondo quanto si dice, fu comprato dai lavoratori e l’Agenzia di Stato per la Privatizzazione confermò che la titolarità dell’azienda era completamente privata. Questo processo é andato avanti fino al 2005, quando Dita ha comprato un’azienda chimica sotto il nome “Lora”, di proprietà di Beohemija, un conglomerato di imprese chimiche con sede a Belgrado. L’azienda é stata completamente distrutta.

Secondo i rapporti finanziari dal 2010, Dita era già in fase di crisi nonostante questa caduta fosse stata preceduta da diversi anni di grande produttività e posti di lavoro stabili. Cosa sia accaduto tra il 2007, quando la privatizzazione ha avuto luogo, e il 2010/2011 (l’anno in cui ci sono state le prime proteste) rimane un mistero. Stando a quanto dicono alcuni lavoratori, dal 2009 al 2010 fu loro ordinato di mettere del sale nella miscela chimica che la compagnia usava per fare i propri detersivi, il che avrebbe danneggiato irreparabilmente i macchinari che utilizzavano, compromettendo così le attuali capacità produttive dell’azienda. A dicembre, dopo il processo giudiziario per bancarotta, un gruppo di quaranta lavoratori si è radunato davanti a Dita dando vita ad una contestazione con l’intento di salvare la loro impresa. Il tratto più interessante di questa protesta era che non fu modulata come un blocco della produzione, ma piuttosto come una richiesta di tornare sul proprio posto di lavoro. Finora i lavoratori hanno accumulato un credito di cinquanta salari con l’azienda, molti di loro non possono andare in pensione perché a causa della privatizzazione avviata nel 2002 non hanno maturato gli anni di servizio necessari. Il sindacato della compagnia ha presentato varie cause contro Lora, il suo padrone e il direttore generale di Dita, senza successo o ancora in corso. Si tratta solo di un esempio, che mette a nudo i sintomi dell’intero stato delle cose di cui stanno facendo esperienza i lavoratori non solo della Bosnia-Erzegovina.

Come detto in precedenza, la protesta é la prima nel suo genere in Bosnia-Erzegovina, dove i lavoratori per la prima volta dal dopoguerra dopo una grave situazione di stallo si sono organizzati in difesa dei propri diritti. Partita come una manifestazione pacifica, che ha visto diverse centinaia di lavoratori radunarsi davanti alla Corte cantonale di Tuzla, si é velocemente sviluppata con violenza con un lancio di pietre contro l’edificio, dopo che il governo aveva risposto nell’unico modo in cui era in grado: con una buona dose di violenza di stato, con l’invio di polizia antisommossa laddove la protesta si faceva più accesa, e con il tentativo di sedare la folla con lacrimogeni e l’utilizzo di cani. Molti dei manifestanti hanno provato a forzare l’entrata del palazzo del Governo cantonale e dieci di questi sono stati subito fermati dalle forze dell’ordine. Finora ci sono stati 30 arresti e 18 feriti. Uno degli organizzatori del gruppo Facebook é stato duramente picchiato e in seguito arrestato dalla polizia e condotto all’interrogatorio senza ricevere cure mediche. Un cameraman della televisione locale di Tuzla, RTV Slon, é stato colpito al volto da un funzionario di polizia.

La protesta ha davvero la possibilità di concretizzare i passati tentativi di esprimere la rabbia e il malcontento, e per la prima volta viene usata violenza fisica sulla popolazione. Nei due mesi appena passati abbiamo assistito a proteste differenti e dal contenuto disomogeneo, come le proteste contro il “numero d’identificazione personale” (JMBG) e gli scioperi dei lavoratori, sconnessi l’una dagli altri. Non ci sono stati collegamenti per mostrare che la precarietà in Bosnia-Erzegovina non conosce confini, sembravano espressioni di singoli gruppi che non condividevano alcuna logica con gli altri. È il sintomo di un processo molto più traumatico avvenuto nella società, che deriva non solo dalla guerra finita nel 1995, ma anche dall’attuale equilibrio politico creato dalle élite istituzionali, demistificando così altri connessi problemi economici. Questa insorgenza potrebbe essere finalmente la tanto attesa possibilità per reintrodurre la nozione di lotta di classe nella società della Bosnia-Erzegovina, allontanandola così dagli immaginari intrisi di nazionalismo della politica istituzionale.

In questo caso é risultato evidente come i bisogni, se espressione collettiva, sappiano esprimersi con grande forza, e che non vale a nulla riconoscersi in differenze etniche o religiose. Sembra che i lavoratori non siano più soli nella loro lotta, questa protesta può essere l’appello per chiunque soffre per le ingiustizie perpetrate dalle élite giorno dopo giorno. Questa lotta perciò non può essere chiamata mia, tua o loro. È la lotta di tutti noi, perché siamo tutti insieme.

 

* Pubblicato su Viewpoints. Traduzione di Benedetta Pinzari e Antonio Alia.

 

Altri materiali e articoli utili sulle lotte in Bosnia-Erzegovina

http://eastethnia.wordpress.com/2014/02/08/on-protests-in-bh-quickly-and-darkly/

http://www.jasminmujanovic.com/1/post/2014/02/the-demands-of-the-people-of-tuzla-sarajevo-english.html

http://roarmag.org/2014/02/bosnia-protests-tuzla-workers/

http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2014/02/it-spring-at-last-bosnia-herzegov-2014296537898443.html

http://www.eastjournal.net/bosnia-il-giorno-dopo-lassedio-alle-istituzioni-bilancio-e-riflessione-a-caldo/39197

http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/feb/10/anger-bosnia-ethnic-lies-protesters-bosnian-serb-croat?CMP=twt_gu

http://roarmag.org/2013/06/occupy-sarajevo-bosnia-herzegovina-protests/